Una mappa dell’accoglienza costruita grazie alle segnalazioni e alle storie dei lettori
Questa spietatezza, questo non vedere l’altro come un essere umano, questo sentimento diffuso di odio, ostilità, disprezzo sempre più esteso – “orda selvaggia e dilagante” – è l’orrore dei nostri tempi (in realtà la Storia è piena di questo odio… Ma questa volta con tutta l’informazione che c’è – i video, le foto, le testimonianze diffuse soprattutto nel mondo digitale – siamo di sicuro più colpevoli). A questo orrore bisogna opporsi con tutte le nostre forze. A parte la verità dei dati e dei fatti da contrapporre di volta in volta alla disinformazione, alle bufale, alla malafede sui temi dell’immigrazione, c’è un altro racconto da far emergere, a cui dare sempre più forza e visibilità. È il racconto dell’accoglienza. Dell’abbraccio. Piccole, grandi storie che ognuno di noi può condividere, diffondere. Racconti-anticorpo contro il veleno che ci vuole disumani.
Arianna Ciccone per Valigia Blu
Come ha scritto Arianna Ciccone non sempre è sufficiente rispondere alla disinformazione con dati e fatti reali: mostrare che esiste un’Italia diversa da quella che rifiuta e odia l’altro, attraverso storie di accoglienza, solidarietà e integrazione, è uno strumento in più per raggiungere la coscienza del lettore, rendendolo consapevole del fatto che un altro atteggiamento, rispetto a quello di chiusura, è possibile; non solo è possibile, già esiste.
Così Valigia Blu ha messo in piedi un progetto collettivo: «Migranti, storie di solidarietà e accoglienza». Collettivo perché la realizzazione di una vera e propria mappa dell’accoglienza richiede la partecipazione diretta di chi ha una storia da segnalare: un articolo, una foto, un video o un testo scritto di propria mano, per riportare la propria esperienza o quella raccontata da altri.
L’invito di segnalare una storia, quindi, è rivolto a tutti i lettori, che possono inviare la propria segnalazione attraverso gli account Facebook e Twitter di Valigia Blu o via email (maggiori informazioni qui).
Pubblichiamo di seguito una delle esperienze raccontate.
Messina. La storia di un’amicizia nata insegnando italiano a giovani extracomunitari
Andata in pensione nel 2012 (per quanto ci si prepari, è sempre un trauma perché implica un cambiamento radicale) decisi che non avrei mai potuto smettere di fare l’insegnante. Così scrissi poi nella bio di Twitter: insegnante per tutta la vita non per presunzione ma per amore.
Credo davvero che sia così. Chi è stato per 38 anni in quel mondo non può smettere di amarlo. Mi rivolsi allora ad associazioni di volontariato per capire se potevo essere ancora utile offrendo tempo ed entusiasmo a ragazzi in difficoltà. La ricerca è stata lunga e laboriosa e talora sconfortante per vari motivi, lungo e complesso spiegarli e non credo sia il caso.
Per un anno ho operato in una struttura della città poi però sono sorti problemi non so bene di che natura per cui si è dovuto smettere. La struttura è stata proprio chiusa. Durante quell’anno mi ero occupata di ragazzi di origine extracomunitaria che incontravano difficoltà di inserimento nella comunità e a scuola problemi con la lingua. È stata un’esperienza bellissima perché mi sono sentita davvero partecipe di un’umanità spesso sofferente, con alle spalle realtà complesse di emarginazione e sfruttamento. Nonostante ciò, però, mi ha colpito il loro entusiasmo verso la vita e il loro desiderio di conoscere nuove realtà e far conoscere le proprie culture senza essere discriminati.
Mi sono sentita persa dopo la chiusura del centro, ma per fortuna i buoni rapporti stabiliti con alcuni ragazzi si sono mantenuti; in tal modo è stato facile continuare ad aiutarli direttamente da casa. Ora ho 3 ragazze (due ragazze e un ragazzo) che seguo. Ho con loro un rapporto bellissimo, facciamo lunghe conversazioni, parliamo di libri, di usanze, di religione, di guerre ma anche di feste, dei primi palpiti d’amore, di amicizie, ci arricchiamo a vicenda.
Io mi sento ancora utile e sono felice quando sorridono, quando acquisiscono un termine in più, quando mi raccontano i loro sogni e le loro speranze. Mi sembra d’aver ritrovato l’essenza più pura di me stessa e del mio “mestiere”, cosa che avevo perso, ahimè, negli ultimi anni d’insegnamento per varie ragioni. A me pare un bel modo pr vivere la vecchiaia e spero di poterlo ancora fare. Un piccolo piccolissimo granello di sabbia in un mare di indifferenza se non di cattiveria. Penso però che storie come la mia (anzi più grandi) siano molte e che il cuore dell’umanità è più grande di quanto non appaia.
Paola