Immigrazione: rapporto globale sulla più grande prova che il giornalismo ha affrontato nel 2015
A cura di Ethical Journalism Network
Traduzione Associazione Carta di Roma
Un rapporto internazionale sui media e l’immigrazione e la crisi rifugiati rileva che i giornalisti spesso falliscono nel tentativo di fornire un racconto completo e regolarmente cadono nelle trappole della propaganda preparate dai politici.
Il rapporto, Storie in movimento (Moving Stories), è pubblicato dall’Ethical Journalism Network e esamina la copertura mediatica dell’immigrazione in 14 paesi.
«La copertura mediatica è spesso guidata politicamente, con giornalisti che seguono un’agenda dominata da un linguaggio irresponsabile e da discussioni su “invasioni” e “sciami”», afferma Aidan White, direttore dell’EJN. «Altre volte il racconto è “corretto” con umanità, empatia e focus sulla sofferenza delle persone coinvolte».
Elementi rilevanti e raccomandazioni
Il rapporto, di cento pagine, mette in evidenza:
- le opportunità mancate: il modo in cui giornalisti e media in Europa abbiano fallito nel suonare l’allarme riguardo l’imminente flusso di rifugiati in fuga dalla guerra in Siria e in Iraq, nonostante la storia fosse già lì, pronta per essere raccontata, un anno prima che la crisi del 2015 scoppiasse;
- hate speech: come le oltraggiose dichiarazioni contro i migranti o i musulmani, rilasciate da politici come Donald Trump negli Stati Uniti e da alcuni leader europei, abbiano alimentato la crescita della preoccupazione pubblica e deviato la copertura mediatica;
- standard non rispettati: il fallimento da parte dei media nel fornire informazioni dettagliate e affidabili sulla crisi rifugiati a causa della mancanza di risorse a livello editoriale, in opposizione alla presenza di giornalisti ben preparati sul tema e capaci di fornire un racconto approfondito e delicato;
- sensazionalismo: quanto il giornalismo sia guidato da iperboli, intolleranza e distorsione, con media confusi sui termini corretti da usare per definire migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
Per replicare a questi problemi, il rapporto raccomanda ai media di intraprendere con urgenza l’azione di nominare reporter specializzati nella questione immigrazione. Chiede anche che vengano sviluppati corsi formativi, dentro e fuori alle aziende, sull’immigrazione e sull’hate speech; che vengano sviluppati e migliorati i contatti con le organizzazioni di migranti e rifugiati; che siano assunti più giornalisti appartenenti a minoranze etniche per promuovere la diversità nelle redazioni.
Il racconto dell’immigrazione tra lacune e generalizzazioni
Il rapporto sottolinea che la copertura mediatica, in gran parte negativa e focalizzata sui numeri dei migranti in movimento, ha preso una svolta drammatica con la morte di Aylan Kurdi e la pubblicazione delle foto del suo corpo su una spiaggia turca. Da quel momento il giornalismo si è reso conto dell’elemento della tragedia umanitaria presente nel racconto dell’immigrazione.
Nella prefazione al rapporto Jan Egeland, segretario generale del Consiglio norvegese dei rifugiati, sintetizza la sfida affrontata dai media: «Non è solo questione di una mancanza di umanità nell’agenda delle testate giornalistiche, o di fortuna, o del maggiore interesse dimostrato verso alcune persone a scapito di altre», sostiene. «Abbiamo bisogno di una lente più grande per osservare davvero cosa sta accadendo».
La mancanza di una prospettiva più ampia a volte porta i media a perdere il collegamento tra immigrazione e sviluppo. I giornalisti spesso ignorano i dati emersi da alcuni studi, i quali mostrano come l’immigrazione, al di là delle sfide a breve termine, porti dei benefici allo sviluppo economico e culturale sul lungo periodo.
Si legge nel rapporto: «Vi è una tendenza, sia tra i politici che nei media mainstream, a fare con i migranti di tutta l’erba un fascio, presentandoli come una corrente di persone apparentemente senza fine che ruberanno i posti di lavoro, diventeranno un peso per lo stato e minacceranno lo stile di vita locale. Questo tipo di racconto non solo è sbagliato: è anche disonesto. I migranti spesso portano enormi benefici ai loro paesi di adozione».
I paesi esaminati
Il rapporto esamina la copertura mediatica in diversi paesi. Dall’Australia, paese costruito dai migranti dove i media si sforzano ad applicare codici per la pratica giornalistica in un clima politico tossico, a Nepal e Gambia, che esportano manodopera. In questi paesi sono la censura o una mancanza di risorse – o una combinazione di entrambe – ad dover essere principalmente biasimate per una mediocre copertura.
La trattazione dell’immigrazione in Cina, India e Brasile racconta una storia diversa. Nonostante un grande numero di persone emigri da ognuno di questi paesi, il focus principale e sulla migrazione interna, un fenomeno globale spesso ignorato dai media mainstream, che coinvolge milioni di individui facendo sembrare piccoli i numeri della migrazione internazionale. Il movimento di persone più consistente della storia ha avuto luogo in Cina negli ultimi 35 anni.
In Africa mentre i titoli si concentrano sulla gente che abbandona il continente mirando a Nord, vi è anche la migrazione tra paesi, che vede molte persone provenienti dalla impoverite regioni centrali puntare al Sudafrica – dove i media affrontano problemi legati alla xenofobia e alla pressione governativa.
In Europa, dove l’immigrazione e la crisi rifugiati hanno scosso l’albero dell’unità europea, i media si sforzano per produrre una copertura bilanciata, mentre i leader politici rispondono alla questione con un misto di intolleranza e panico; alcuni di loro, per esempio, hanno annunciato di voler accettare solo migranti cristiani, mentre altri pianificano di erigere e recinzioni di filo spinato.
Il rapporto ha analizzato la Bulgaria, dove i media hanno consentito al sensazionalismo di dominare la la trattazione dell’immigrazione, e all’Italia, dove l’hate speech è controbilanciato da un codice deontologico per i media. Nel Regno Unito il rapporto rileva come la storia sia spesso raccontata senza senso della misura o in modo sbilanciato, con dettagliati servizi sulla difficile situazione delle persone nel piccolo campo rifugiati di Calais.
In Turchia, vista da molti politici europei come un paese chiave per tamponare il costante afflusso di migranti, la maggior parte dei media sono sotto il giogo di un governo che punisce i giornalisti dissidenti, di conseguenza il dibattito pubblico è limitato. In Libano, dove si trovano milioni di rifugiati fuggiti da una Siria dilaniata dalla guerra, il racconto non è aiutato da un confuso mix di fatti e opinioni.
Negli Stati Uniti il controverso candidato repubblicano, Donald Trump, ha reso l’immigrazione un tema esplosivo. I media si sono focalizzati su scambi accesi e spesso razzisti, oscurando il buon giornalismo che la contestualizzazione di cui c’è bisogno. A sud del confine, i media in Messico soffrono un’eccessiva pressione politica e l’autocensura.
«La crisi rifugiati non finirà – spiega White – e non c’è mai stato maggiore bisogno di informazioni utili e affidabili sulla complessità dell’immigrazione. Se questo deve accadere, come mostra il rapporto, dobbiamo rafforzare il giornalismo».
Il rapporto, in inglese, è scaricabile qui.