Di Piera F. Mastantuono
«L’idea è nata a maggio del 2015 per raccontare le storie e le ragioni della migrazione» spiega Florence Kim, coordinatrice e responsabile comunicazione del progetto “I am a migrant“.
Si tratta di un’iniziativa in continua evoluzione, alla quale si aggiungeranno sempre più storie, pubblicate in diverse lingue. La campagna è promossa dall’Oim e dal Joint Council for the Welfare of Immigrants.
«Il collegamento con l’Oim ci ha consentito di aver accesso ad un ampio bacino di storie». Per chi sceglie di raccontarsi è stato pensato anche un incentivo: una locandina, un vero e proprio poster con la propria storia che si può stampare e portare con sé, perché «essere un migrante deve essere fonte di orgoglio, da qui l’idea di un poster da poter appendere, da mostrare». Le storie vengono verificate prima di essere pubblicate ma, specifica Florence Kim, «semplicemente per capire se siano attendibili, non abbiamo intenzione di fare politica, ma di raccontare la storia ed il sentimento legati alla migrazione».
L’obiettivo è quello di creare un museo digitale della migrazione e per alcune storie sono già online sia il formato audio che quello video. «Soprattutto, vorremmo che questa piattaforma non fosse solo un database ma un vero e proprio tool, utile ai migranti per comunicare con i paesi d’origine e per mostrarsi, auspicabilmente, come un modello positivo e replicabile, magari a livello economico».
“Chi sei?” è la domanda a cui i racconti rispondono. E la risposta inizia per tutti allo stesso modo: sono un migrante (“I am a migrant”, in inglese). Ma anche molto di più. Così si scoprono storie dalle molteplici sfaccettature, tutte diverse. Come quella di Chaker Khazaal, libanese, di origine palestinese e ora cittadino canadese: «i rifugiati sono persone ordinarie che vivono delle circostanze straordinarie; dandogli una chance eccelleranno e diventeranno, letteralmente, qualcuno […] Mi sento libero, mi sento normale». Perché normale è conoscersi, ancor prima di giudicarsi.
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