Rilanciamo un articolo di Laura Anello pubblicato oggi su La Stampa e disponibile nella nostra rassegna.
«Io sono Herbert, vengo da Berna e studio Ingegneria con il progettoErasmus». «Io sono Agata, arrivo da Varsavia, e sono qui a frequentare Medicina per tre mesi». «Io sono Mohammed, del Gambia, e sono arrivato con un barcone. In Libia mi hanno torturato fino a crocifiggermi, vedete questi buchi sulle mani? Sono i segni dei chiodi».
Parole (e stupore) in presa diretta dalla giornata di presentazione del corso di Itastra, la Scuola di italiano per stranieri dell’Università di Palermo, l’unica in Europa a organizzare lezioni di lingua insieme – per l’élite europea dell’Erasmus e per i migranti approdati alla disperata rischiando la vita in mare. Francesi, tedeschi, spagnoli, polacchi accanto a ragazzi egiziani, del Mali, del Senegal, del Bangladesh. «Minori non accompagnati», si chiamano per la burocrazia. Cioè minorenni arrivati sulle nostre coste da soli. Quasi tutti musulmani, accanto agli europei cristiani e a un gruppo di cinesi.
Il 18 gennaio parte il corso: cento ragazzi divisi in sei classi da quindici allievi. Dalle 9 alle 13 lezioni ogni giorno per 40 ore, replicabili fino a un grado accettabile (o avanzato) di conoscenza della lingua. E quest’anno – il quarto dell’esperienza – ha tutto un sapore diverso, dopo Charlie Hebdo, dopo gli attentati di Parigi, dopo l’escalation di paura e di violenza dell’Is contro gli occidentali. «Abbiamo cominciato a seguito degli sbarchi sempre più frequenti – racconta Mari d’Agostino, direttore della Scuola – e sulla spinta delle comunità di accoglienza che si chiedevano che cosa far fare a questi ragazzi. Quattro anni fa decidemmo di inserirli nei corsi frequentati dagli stranieri che vengono qui per le scuole estive o con i progetti europei».
Da allora circa mille minorenni arrivati con addosso ferite, stracci e fame sono passati dalle aule dell’ex convento di Sant’Antonino accanto alla stazione centrale di Palermo, quartiere di immigrazione e di mercati. A studiare, ma anche a fare gite, sport, visite della città. Tutto gratis, «su di loro reinvestiamo i soldi dei ragazzi europei e cinesi che pagano». C’è Amadou, del Senegal, 18 anni appena compiuti, scappato quando dopo il padre gli è morta anche la madre. «Conosce sei lingue – spiegano i professori – è un ragazzo di talento che speriamo possa diventare mediatore culturale». C’è Kalifa, del Bangladesh, che ha preso il barcone sognando di fare il calciatore. Ma ce ne sono tanti che sono analfabeti, e fanno corsi speciali, «una sfida nuova – racconta Mari D’Agostino – quella di insegnare la lingua italiana a chi non legge e scrive la sua». Per tutti lo studio è diventato territorio condiviso, spazio neutro. «Non c’è mai stato un momento di rifiuto, di resistenza, né da parte degli stranieri europei né da parte dei minori non accompagnati. Tra i migranti si annullano le rivalità etniche e le logiche di clan. E il rispetto dei luoghi è sacro. Mai una sedia rotta, mai un’ombra sulla parete». Rischi di infiltrazione terroristica? «Dopo la strade di Parigi, sono andata a guardare le loro pagine Facebook. In molte c’era la bandiera francese. Lo ammetto, mi sono commossa».
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