Presentato Terraingiusta, il dossier di Medu che racconta lo sfruttamento dei lavoratori migranti nell’agricoltura
Hanno intervistato 788 migranti impegnati nel settore agricolo e raccolto i risultati in un dossier che rivela quali siano le condizioni dei braccianti stranieri: si tratta di Terraingiusta, rapporto curato da Medici per i Diritti Umani.
Piana di Gioia Tauro in Calabria, Piana del Sele in Campania, Vulture Alto Bradano in Basilicata, Agro Pontino nel Lazio, Capitanata in Puglia. Sono questi i territori dove Medu ha incontrato i lavoratori migranti, potendone verificare le gravi condizioni di sfruttamento: il lavoro nero o “grigio”, i salari ben al di sotto dei tetti minimi, il caporalato, i lunghi orari lavorativi, la mancanza di tutele per la sicurezza e la salute. A completare il quadro condizioni di vita altrettanto problematiche: soluzioni abitative e condizioni igienico-sanitarie del tutto inadeguate, la difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria.
La gran parte dei lavoratori stranieri intervistati è in possesso di un regolare permesso di soggiorno: per motivi di lavoro nei territori più stanziali (Campania e Lazio per esempio), per protezione internazionale nelle aree dove c’è un forte flusso stagionale (come la Calabria). Inferiore, rispetto al passato, la presenza di lavoratori stranieri in condizioni di irregolarità: addirittura trascurabile nell’Agro Pontino e nel Vulture Alto Bradano, non supera un quarto dei migranti assistiti neppure nelle piane del Sele e di Gioia Tauro. A questa maggiore “regolarità” non corrispondono, tuttavia, condizioni di vita e di lavoro migliori.
Lavoro nero e lavoro “grigio”. Migranti pagati fino al 40% in meno rispetto ai tetti minimi
Alla Piana di Gioia Tauro spetta il primato negativo per il lavoro nero tra i territori visitati: l’83% degli intervistati non è in possesso di un contratto. Nelle altre aree, invece, sono i lavoratori con contratto a rappresentare la maggioranza; nonostante questo le irregolarità contributive e salariali sono molto diffuse. I contributi dichiarati sono risultati, in tutti i contesti territoriali esaminati, quasi sempre inferiori rispetto al numero di giornate lavorative svolte, così come il salario. Quest’ultimo in particolare, sia per i lavoratori con contratto che senza, è, di norma, inferiore del 30-40% rispetto ai minimi giornalieri garantiti dal contratto nazionale e dai contratti provinciali di lavoro: 25 euro al giorno invece dei 42 lordi previsti nella Piana di Gioia Tauro, 32 invece di 48 nella Piana del Sele. Fa eccezione il Vulture Alto Bradano, dove la paga giornaliera oscilla tra i 57 e i 76 euro; a bilanciare il salario più alto, però, vi è la brevità del periodo di raccolta, causa di ulteriori gravi condizioni di sfruttamento (l’intenso e prolungato sforzo fisico, per esempio, dovuto alla volontà di lavorare il più possibile nel poco tempo a disposizione).
Il ricorso al caporalato è ancora molto diffuso, specie nei territori dove il lavoro è prevalentemente stagionale: in Calabria due terzi dei lavoratori intervistati ammettono di essere stati reclutati in questo modo, mentre si arriva alla metà in Basilicata. Il caporale è spesso proveniente dalla stessa area geografica dei braccianti e si pone dunque come intermediario tra la mano d’opera e il datore di lavoro. Lo sfruttamento economico conseguente al caporalato assume diverse forme: tra queste il pagamento del trasporto fino al posto di lavoro o la sottrazione di una quota dalla paga.
Poco spazio è dato alla sicurezza sul lavoro: solo rare volte sono i datori di lavoro a fornire i presidi necessari (guanti, scarpe ecc.), nell’80-90% dei casi sono gli stessi lavoratori che ne fanno uso a procurarseli (la situazione è migliore solo nell’Agro Pontino, dove nella metà dei casi è il datore di lavoro a metterli a disposizione).
La vita del bracciante straniero
Baraccopoli e strutture fatiscenti continuano a essere la soluzione abitativa più frequente per i lavoratori migranti. Ancora una volta la situazione appare più grave nelle aree caratterizzate da intensi flussi stagionali di braccianti: nella Piana di Gioia Tauro, nel Vulture Alto Bradano e nella Capitanata, dove le baraccopoli rappresentano la consuetudine, Medu non ha rilevato alcun miglioramento rispetto agli anni passati. Il 79% dei migranti assistiti in Calabria abitava in insediamenti privi di qualsiasi servizio, percentuale che raggiunge il 98% in Basilicata.
Tale precarietà abitativa influisce sulla salute dei lavoratori migranti ai quali, sostanzialmente sani all’arrivo in Italia (non sono state rilevate patologie infettive da importazione), sono state diagnosticate patologie spesso correlate alle condizioni igienico-sanitarie degli alloggi, allo sforzo fisico sostenuto o all’esposizione prolungata a sostanze chimiche.
In Campania e Calabria circa metà dei migranti incontrati da Medu era sprovvista di tessera sanitaria, nonostante in possesso di regolare permesso di soggiorno; inoltre nella Piana di Gioia Tauro gli ambulatori per stranieri irregolari sono risultati poco accessibili perché sprovvisti di adeguate risorse economiche e umane.
Migliore la situazione nell’Agro Pontino, dove 9 lavoratori intervistati su 10 fruiscono dell’assistenza sanitaria, e in Basilicata, dove durante la stagione della raccolta dei pomodori viene attivato un ambulatorio ospedaliero aperto a tutti gli stranieri, indipendentemente dalla regolarità dei loro documenti.
Le task force in Puglia e Basilicata e l’immobilità della Calabria
Medu ha osservato il lavoro delle task force create dai governi regionali della Puglia e della Basilicata per migliorare le condizioni dei migranti impiegati nel settore agricolo. Entrambe le regioni hanno preso in considerazione diversi aspetti della vita dei lavoratori stranieri, coinvolgendo numerosi attori: dall’accoglienza ai trasporti, dall’assistenza sanitaria a quella legale, dalle condizioni abitative a quelle lavorative. «Se la volontà da parte delle istituzioni politiche di affrontare il fenomeno a tutto tondo rappresenta, dunque, un’importante novità – peraltro, l’unica strategia possibile – l’attuazione concreta di piani così articolati si è rivelata, per molti aspetti, non all’altezza degli ambiziosi obiettivi che erano stati prefissati», scrive Medu. Un passo avanti, comunque, nella giusta direzione e verso lo sviluppo di una maggiore consapevolezza.
Appare invece lontana da ogni cambiamento la Piana di Gioia Tauro, dove la mancanza di qualsiasi tutela o piano d’azione rivela la completa assenza delle istituzioni regionali e nazionali.
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