Le quindici carte deontologiche raccolte in unico documento
In vigore il “Testo unico dei doveri del giornalista“, approvato a fine gennaio dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti con l’obiettivo di armonizzare le quindici carte deontologiche della professione.
Tra i testi recepiti la anche Carta di Roma, i cui principi compaiono nel documento insieme a quelli della Carta dei doveri del giornalista degli uffici stampa, della Carta dei doveri dell’informazione economica, delle carte di Firenze, Milano, Perugia e Treviso, della Carta informazione e pubblicità, della Carta informazione e sondaggi, del Codice di deontologia relativo alle attività giornalistiche, del Codice in materia di rappresentazione delle vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive e del Decalogo del giornalismo sportivo. Tra gli allegati presenti nel Testo unico anche il glossario annesso alla Carta di Roma.
Per quanto riguarda i procedimenti disciplinari avviati prima del 3 febbraio, essi continuano a far riferimento ai precedenti documenti deontologici.
“Un giornalista bravo è anche deontologicamente corretto e attento”
Di seguito alcune domande e risposte estratte dell’intervista di Franca Silvestri a Michele Partipilo, componente dell’Osservatorio di deontologia presso il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, pubblicata sul sito dell’Ordine dell’Emilia-Romagna.
Come sono state raggruppate le 15 carte finora in vigore?
«In realtà non è un vero e proprio Testo unico perché al suo interno ha conservato quattro carte come allegati: il Codice di deontologia previsto dalla Legge sulla protezione dei dati personali, la Carta di Treviso che è inglobata in questo Codice di deontologia, la Carta dei doveri dell’informazione economica e la Carta di Firenze. Poi c’è il Glossario della Carta di Roma. I primi tre documenti era impossibile sintetizzarli nel Testo unico per ragioni tecniche. Il Codice di deontologia e l’annessa Carta di Treviso che tutela i minori sono ormai entrati a far parte dell’ordinamento quindi sono norme di carattere generale che non hanno valore solo per i giornalisti. Hanno una vita autonoma e per poterli modificare, aggiornare, trasformare bisogna avviare un preciso percorso di legge. Il discorso è un po’ diverso per la Carta dei doveri dell’informazione economica: un documento nato con lo scopo di tutelare i giornalisti che si occupano di economia dal rischio di dover pagare sanzioni pesantissime in caso di violazione. Sono sanzioni previste dalla normativa europea sugli abusi di mercato e i giornalisti ci rientrerebbero, se non ci fosse un documento deontologico che prescrive regole di comportamento e in qualche modo li esonera dal contesto generale delle sanzioni. Per questa ragione la Carta dei doveri dell’informazione economica non può essere sintetizzata nel Testo unico. La Carta di Firenze invece era stata condensata con gli altri documenti nella bozza presentata in Consiglio nazionale, ma, con un voto abbastanza tirato e dopo un grande dibattito, il Consiglio ha deciso di mantenerla in vita così com’è, come allegato. Questo, da un lato, è un punto di debolezza perché viene un po’ meno quello spirito che aveva portato alla realizzazione del Testo unico. Dall’altro però è un indicatore preciso del fatto che la questione del lavoro precario – che è l’oggetto principale della Carta di Firenze – resta un nervo assai scoperto della categoria. E il Consiglio dell’Ordine ha voluto in qualche modo mantenere accesa l’attenzione su questo punto».
«In realtà non è un vero e proprio Testo unico perché al suo interno ha conservato quattro carte come allegati: il Codice di deontologia previsto dalla Legge sulla protezione dei dati personali, la Carta di Treviso che è inglobata in questo Codice di deontologia, la Carta dei doveri dell’informazione economica e la Carta di Firenze. Poi c’è il Glossario della Carta di Roma. I primi tre documenti era impossibile sintetizzarli nel Testo unico per ragioni tecniche. Il Codice di deontologia e l’annessa Carta di Treviso che tutela i minori sono ormai entrati a far parte dell’ordinamento quindi sono norme di carattere generale che non hanno valore solo per i giornalisti. Hanno una vita autonoma e per poterli modificare, aggiornare, trasformare bisogna avviare un preciso percorso di legge. Il discorso è un po’ diverso per la Carta dei doveri dell’informazione economica: un documento nato con lo scopo di tutelare i giornalisti che si occupano di economia dal rischio di dover pagare sanzioni pesantissime in caso di violazione. Sono sanzioni previste dalla normativa europea sugli abusi di mercato e i giornalisti ci rientrerebbero, se non ci fosse un documento deontologico che prescrive regole di comportamento e in qualche modo li esonera dal contesto generale delle sanzioni. Per questa ragione la Carta dei doveri dell’informazione economica non può essere sintetizzata nel Testo unico. La Carta di Firenze invece era stata condensata con gli altri documenti nella bozza presentata in Consiglio nazionale, ma, con un voto abbastanza tirato e dopo un grande dibattito, il Consiglio ha deciso di mantenerla in vita così com’è, come allegato. Questo, da un lato, è un punto di debolezza perché viene un po’ meno quello spirito che aveva portato alla realizzazione del Testo unico. Dall’altro però è un indicatore preciso del fatto che la questione del lavoro precario – che è l’oggetto principale della Carta di Firenze – resta un nervo assai scoperto della categoria. E il Consiglio dell’Ordine ha voluto in qualche modo mantenere accesa l’attenzione su questo punto».
Nel Testo unico ci sono altri concetti che non erano mai stati formulati?
«Sì, ci sono un paio di principi che a mio giudizio sono importanti e interessanti. Per la prima volta, è stato fissato qualcosa che si dava per scontato ma non era scritto da nessuna parte e cioè che il giornalista ha l’obbligo di rispettare il prestigio e il decoro dell’Ordine e delle sue istituzioni. È un concetto importante perché ribadisce che il giornalista non è un individuo che agisce da solo, ma è parte di una collettività professionale che deve mantenere prestigio e decoro, fondamentali per la dignità della professione, per la sua credibilità. Quindi, ogni volta che il giornalista lavora, dovrebbe rendersi conto che rappresenta migliaia di colleghi, che le sue azioni danno decoro o disdoro all’intera categoria. Questo è molto importante proprio sotto il profilo dell’etica professionale. Poi c’è un altro punto interessante, sempre nell’articolo 2 dedicato ai doveri, dove si precisa che il giornalista applica i principi deontologici nell’uso di tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network. Ormai i social network e tutti i nuovi media non possono essere più considerati strumenti privati: sono mezzi di comunicazione di massa a tutti gli effetti e quindi come tali richiedono un uso appropriato e soprattutto che vi sia anche lì un apporto deontologico da parte di un utilizzatore professionale quale è il giornalista».
«Sì, ci sono un paio di principi che a mio giudizio sono importanti e interessanti. Per la prima volta, è stato fissato qualcosa che si dava per scontato ma non era scritto da nessuna parte e cioè che il giornalista ha l’obbligo di rispettare il prestigio e il decoro dell’Ordine e delle sue istituzioni. È un concetto importante perché ribadisce che il giornalista non è un individuo che agisce da solo, ma è parte di una collettività professionale che deve mantenere prestigio e decoro, fondamentali per la dignità della professione, per la sua credibilità. Quindi, ogni volta che il giornalista lavora, dovrebbe rendersi conto che rappresenta migliaia di colleghi, che le sue azioni danno decoro o disdoro all’intera categoria. Questo è molto importante proprio sotto il profilo dell’etica professionale. Poi c’è un altro punto interessante, sempre nell’articolo 2 dedicato ai doveri, dove si precisa che il giornalista applica i principi deontologici nell’uso di tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network. Ormai i social network e tutti i nuovi media non possono essere più considerati strumenti privati: sono mezzi di comunicazione di massa a tutti gli effetti e quindi come tali richiedono un uso appropriato e soprattutto che vi sia anche lì un apporto deontologico da parte di un utilizzatore professionale quale è il giornalista».
Poi c’è l’esigenza di formare i formatori. Ritieni che occorra un altro taglio ora che non ci sono più le singole carte ma un Testo unico molto declinato?
«Guarda il problema dei formatori in realtà preesiste al Testo unico. Sono convinto che l’Ordine per quanto riguarda i formatori di deontologia debba diventare più severo e pretendere certe caratteristiche, certe garanzie da coloro fanno la formazione deontologica perché si tratta di un aspetto chiave della professione. Dopo la battaglia per il Testo unico, adesso c’è da fare un’altra battaglia per avere qualcosa di più certo circa i formatori deontologici. Ritengo che l’ideale sarebbe che vi fosse una sorta di elenco, di albo, di registro in cui l’Ordine nazionale inserisse – magari dopo corsi, test, esami, valutazioni da individuare – i nomi di coloro che hanno l’imprimatur per insegnare la deontologia professionale».E sul fronte dei Consigli di disciplina cosa succederà?
«Il discorso più urgente è proprio quello che riguarda i Consigli di disciplina, che ora sono chiamati ad applicare queste norme e non più le vecchie. Tanto è vero che nel Testo unico è prevista una norma transitoria in cui si dice che entra in vigore il 3 febbraio 2016. È un richiamo simbolico all’entrata in vigore della nostra Legge professionale del 1963, però da un punto di vista pratico dice anche che i procedimenti disciplinari che fanno riferimento a violazioni di norme contenute nelle vecchie carte vanno avanti per la loro strada. Ma dal 3 febbraio 2016 in poi tutti i capi di incolpazione che saranno formulati dovranno ovviamente fare riferimento agli articoli del Testo unico. Quindi, l’aspetto più urgente è quanto meno fare un’informativa ai Consigli di disciplina per quanto riguarda gli adempimenti di natura tecnica e burocratica, perché poi i contenuti grosso modo restano gli stessi».
«Guarda il problema dei formatori in realtà preesiste al Testo unico. Sono convinto che l’Ordine per quanto riguarda i formatori di deontologia debba diventare più severo e pretendere certe caratteristiche, certe garanzie da coloro fanno la formazione deontologica perché si tratta di un aspetto chiave della professione. Dopo la battaglia per il Testo unico, adesso c’è da fare un’altra battaglia per avere qualcosa di più certo circa i formatori deontologici. Ritengo che l’ideale sarebbe che vi fosse una sorta di elenco, di albo, di registro in cui l’Ordine nazionale inserisse – magari dopo corsi, test, esami, valutazioni da individuare – i nomi di coloro che hanno l’imprimatur per insegnare la deontologia professionale».E sul fronte dei Consigli di disciplina cosa succederà?
«Il discorso più urgente è proprio quello che riguarda i Consigli di disciplina, che ora sono chiamati ad applicare queste norme e non più le vecchie. Tanto è vero che nel Testo unico è prevista una norma transitoria in cui si dice che entra in vigore il 3 febbraio 2016. È un richiamo simbolico all’entrata in vigore della nostra Legge professionale del 1963, però da un punto di vista pratico dice anche che i procedimenti disciplinari che fanno riferimento a violazioni di norme contenute nelle vecchie carte vanno avanti per la loro strada. Ma dal 3 febbraio 2016 in poi tutti i capi di incolpazione che saranno formulati dovranno ovviamente fare riferimento agli articoli del Testo unico. Quindi, l’aspetto più urgente è quanto meno fare un’informativa ai Consigli di disciplina per quanto riguarda gli adempimenti di natura tecnica e burocratica, perché poi i contenuti grosso modo restano gli stessi».
Per l’intervista intera clicca qui.