La sortita ad effetto del ministro degli Interni Alfano per annunciare nuovi provvedimenti contro la contraffazione e l’abusivismo continua a far discutere le pagine dei quotidiani. Ci sono anche testate che – ringalluzzite dalle recenti polemiche – sono tornate a titolare con ostentato orgoglio e compiaciuta provocazione utilizzando quell’espressione che oggi la Treccani – tirata in ballo dallo stesso Alfano – non ha dubbi a definire “dispregiativa”. Come riporta la Gazzetta del Sud («Vu cumprà è un’espressione dispregiativa»), in una nota l’istituzione culturale precisa che «nella propria base dati lessicale, Treccani registra l’espressione “vu cumprà” a scopo di documentazione, senza volerne in alcun modo legittimare l’uso. In altre sezioni del portale, trattando in forma più distesa di questa specifica espressione, se «registro d’uso dispregiativo».
Ma quello che più sorprende non è tanto l’ormai tristemente classico atteggiamento che minimizza accusando di moralismo chi invece si scandalizza di fronte ad un linguaggio discriminatorio. Sconcerta invece che si continui a rivendicare l’utilizzo del termine perché «I vu cumprà costituiscono un problema che non va certo accantonato», come titolava un quotidiano il 15 luglio scorso. Insomma sembra che siano tutti tacitamente convinti che le merci «vengano prodotte nottetempo dai venditori stessi nei loro accampamenti disgraziati», come ha scritto Maria Laura Rodotà domenica scorsa sulle pagine del Corriere della Sera («Quei camion italianissimi che riforniscono gli ambulanti»).
Certo è più difficile chiedere conto alle forze dell’Ordine o al Ministro stesso, quante operazioni sono state eseguite contro il racket della produzione e vendita delle merci taroccate, o se non sono state fatte il perché e capire quali ostacoli le stesse forze dell’Ordine e la magistratura incontrino nel portarle avanti e quali interessi muovano.
È più facile auto-assolversi per il «nostro razzismo mascherato ora come barzelletta, ora come sfottò», come ebbe a dire Francesco Bonami nel marzo scorso dalle colonne de La Stampa e continuare a etnicizzare i fenomeni piuttosto che fornire informazioni per far capire ai lettori le dimensioni e le dinamiche che regolano il fenomeno dell’abusivismo.
Chiamarli “ambulanti” o “abusivi” o “ambulanti abusivi” invece che “vu cumprà” non censura e non toglie alcuna informazione utile se non quella dell’eventuale colore della pelle che in questo caso non sembra proprio essenziale alla comprensione della notizia.
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