Di Mattia Mezzetti su Gli Stati Generali
L’Autorità per le Garanzie nella Comunicazione, meglio nota come AGCOM, ha dipinto un quadro a tinte fosche relativo ai media nella sua consueta relazione annuale. Come riporta l’agenzia di stampa Ansa, nel discorso alle Camere il presidente dell’Autorità, Giacomo Lasorella, si è espresso in termini che non ci sorprendono troppo ma tratteggiano una situazione ambivalente: “nonostante la crescita delle audience e del consumo di informazione, rilevato per televisione e internet, i risultati economici sono fortemente negativi per tutti i mezzi di comunicazione. Le analisi mostrano una flessione degli introiti pubblicitari causata sia dalla minore disponibilità di spesa degli inserzionisti sia dall’abbassamento dei prezzi degli spazi pubblicitari, ad eccezione di quelli dell’online.”
Il quadro
La situazione si delinea in maniera davvero molto chiara. Nonostante le nuove tecnologie siano sempre più diffuse e il fatto che oramai non esista quasi più nessuno che non utilizzi la rete, la televisione resta ancora indubitabilmente il mezzo principale per acquisire informazioni. Non ci è però dato sapere per quanto tempo ancora durerà la sua egemonia. Lo spostamento verso le piattaforme online è infatti sempre più rapido e appare inarrestabile.
Evidenza di ciò ci è data anche da una progressiva riduzione dell’utilizzo di media come giornali e radio per informarsi. Tutto ciò si traduce, in termini economici, in una complessiva riduzione dei ricavi, i quali scendono – alla fine del 2020 – a quota 11 miliardi di euro. In soldoni, parliamo di una perdita rispetto al 2019 di 1 miliardo. Si tratta di una variazione in negativo del 9,5%, abbastanza in linea con il quadro macroeconomico generale per l’Italia, il cui PIL è sceso del 9% a causa della crisi sanitaria e di quella economica che l’ha seguita.
Il comparto editoriale che maggiormente ha sofferto, senza alcun dubbio, è quello relativo ai periodici. I ricavi pubblicitari per questo medium sono calati del 36,6%, meglio soltanto di alcune forme di promozione francamente davvero datate e sempre meno efficaci, come il transit e l’outdoor.
La fotografia dell’AGCOM
Durante la pandemia “la televisione è stato il primo mezzo scelto dagli italiani per informarsi.” Ha affermato Lasorella. “Nel corso del primo semestre 2020 tutti gli operatori televisivi hanno modificato i propri palinsesti. Lo hanno fatto inserendo una nuova programmazione informativa e spazi dedicati al Covid-19, oltre che numerosi programmi di intrattenimento. Tramite telegiornali, programmi di approfondimento, quotidiani appuntamenti con le conferenze stampa della Protezione Civile (tra febbraio e aprile 2020) e quelle del Presidente del Consiglio, la televisione ha fornito un’ampia copertura informativa sia in termini medico-sanitari sia sui processi decisionali del governo. Nella fase più acuta dell’epidemia le fonti informative televisive, in particolare tg nazionali e regionali, hanno segnato un’impennata nella fruizione e, di conseguenza, negli ascolti.”
“Al pari dell’andamento osservato nel corso della cosiddetta prima ondata della pandemia, anche a ottobre, quando la curva dei contagi ha iniziato nuovamente a salire, i telegiornali delle 20 hanno raggiunto una quota consistente degli spettatori della fascia oraria – circa il 49% – con un incremento di 3 punti percentuale. ” Quest’ultimo dato si riferisce ai tg più seguiti, ovvero il TG1, il notiziario di Canale 5 e quello di LA7.
“Un ruolo altrettanto importante ha giocato l’informazione locale trasmessa dai TgR, i quali hanno compiuto un balzo significativo di ascolti rispetto al 2019, pari al 4,7% di share in più. Nel mese di ottobre, la crescita si è attestata intorno al +3,5%. La crescita appare evidente se analizziamo gli andamenti degli ascolti dei telegiornali delle 20 sull’intera base annuale, parliamo infatti di un aumento sui 12 mesi del 2,5% di ascolti per i principali tg e del 2,8% per quelli realizzati dalle redazioni regionali.” Ha concluso Lasorella.
La quarantena non basta
Ciò non ha comunque impedito le perdite economiche con cui abbiamo aperto.
Il settore, nell’intero 2020, si è contratto del 5,2% a causa principalmente, si è già scritto, delle importanti perdite del settore pubblicitario. In aggiunta a ciò, anche le vendite di abbonamenti e pubblicità sui canali a pagamento si sono ridotte – dello 0,5% – principalmente a causa dell’interruzione dei maggiori campionati sportivi durante il rigido lockdown della primavera 2020. Il colpo è stato meno duro per i pesci più grossi, quelli che canalizzano da soli l’80% delle risorse: Sky, RAI e Fininvest.
La quarantena dunque, quella che ci ha costretto più o meno tutti davanti ad uno schermo retroilluminato, ha comportato sì, da una parte, la lievitazione della fruizione di contenuti video ma, dall’altra, un maggiore tempo dedicato alle immagini non ha portato a guadagni maggiori per chiunque utilizzi il medium televisivo come veicolo di marketing e pubblicità.
Ciò può apparire come un paradosso, le cui ragioni sono spiegabili nella maggiore difficoltà di spesa durante un periodo di ristrettezze nonché nella impossibilità fisica di uscire di casa. Qualora la situazione persistesse anche a crisi superata, un momento che ci auguriamo non sia più troppo distante, allora bisognerebbe rivedere l’analisi per intero ed evitare di incolpare il Covid di tutto, che è quello che stiamo facendo da circa 18 mesi. Forse, ci troviamo davvero di fronte a una mutazione nell’utilizzo della scatola nera che dimora nelle nostre case da circa sessant’anni, la regina incontrastata di tutti i salotti d’Italia.