L’intesa ricorda nell’approccio quella tra Unione europea e Turchia: gli afgani che non hanno i requisiti per restare in Europa dovranno far ritorno volontario o forzato nel paese che hanno abbandonato
Secondo gruppo per numero di richiedenti asilo giunti nell’Unione europea – sia nel 2015 che nei primi otto mesi del 2016 , gli afgani sono ora al centro di un accordo su rimpatri, riammissioni e reintegri.
«Nel documento si legge che i cittadini afgani che non hanno base legale per restare in uno stato membro dell’Unione, verranno rimpatriati in Afganistan – spiega il Centro Astalli – si prediligerà il ‘ritorno volontario’ altrimenti si procederà con i ‘rimpatri forzati’ anche di massa». L’intesa è stata annunciata nel corso della Conferenza di Bruxelles sull’Afghanistan che si è tenuta il 4 e il 5 ottobre e durante la quale l’Unione ha messo a disposizione del paese asiatico 16 miliardi di euro in aiuti. Un approccio che ricorda quello dell’accordo Ue-Turchia, in vigore dalla primavera scorsa, il quale stabiliva il respingimento in Turchia di migranti e rifugiati arrivati in Europa percorrendo la rotta balcanica e non intenzionati a presentare domanda d’asilo in Grecia.
La tendenza dell’Unione a “esternalizzare”
Kabul si impegna a facilitare il ritorno di propri cittadini – 80.000 afghani la cui richiesta di asilo in Europa non ha avuto esito positivo – dal territorio europeo al paese di origine; Bruxelles si impegna a coprire i costi di rimpatrio e ad assistere gli afghani nel proprio percorso di reinserimento nel paese. Sebbene entrambi neghino che vi sia un nesso diretto tra la firma dell’accordo e la concessione degli aiuti, osservatori e fonti giornalistiche rivelano che un collegamento in effetti vi sarebbe, e che sarebbe stata la Germania a imporre come condizione per l’elargizione di aiuti la firma dell’accordo. Una condizionalità che di certo era nell’aria da tempo e che appare in linea con la tendenza europea dell’ultimo periodo ad esternalizzare la gestione di una crisi migratoria apparentemente senza soluzione, fornendo in cambio aiuti economici (si veda il caso del recente accordo con la Turchia).
Descrive così l’accordo Ue-Afghanistan l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) in una accurata analisi di Annalisa Perteghella.
«Si tratta dell’ennesimo colpo inferto dall’Unione europea alla dignità della vita umana, aggravato da uno spreco sproporzionato di risorse economiche che potrebbe essere destinato alla creazione di canali umanitari sicuri e ad un’accoglienza programmata e progettuale che impegni tutti gli Stati Ue – ha commentato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli – È illegale oltre che immorale che l’Ue gestisca in questo modo il flusso dei migranti sul proprio territorio».
Un paese dilaniato da instabilità e violenza
“È bene ricordare che gli afgani rappresentano il secondo gruppo per arrivi, dopo i siriani, in Europa (nel 2015 le richieste di asilo sono state 196.000), un numero che corrisponde a poco più del 3% dei circa 6 milioni totali di afghani rifugiati al di fuori del paese – scrive Perteghella – Difficile comprendere come un paese che da più di trent’anni vive condizioni economiche e di sicurezza precarie, tali da spingere milioni di persone ad andarsene, possa riuscire ad assorbire 80.000 persone di ritorno”.
L’Afganistan è classificato come quartultimo nel Global Peace Index 2016: in condizioni peggiori a livello mondiale solo Siria, Sud Sudan e Iraq. L’Institute for Economics and Peace rileva, inoltre, che sia secondo solo all’Iraq, sempre su scala globale, per attività terroristiche all’interno del paese (Global Terrorism Index 2016).
“Difficile quindi capire in che modo un accordo aiuti-rifugiati possa essere di aiuto al paese – conclude l’analisi Ispi – La perdurante crisi dei rifugiati afghani si potrà risolvere solo quando il paese sarà veramente stabilizzato. Fino ad allora qualsiasi misura provvisoria rischia solamente di aggravare ulteriormente una situazione già di per sé drammatica”.