È stata presentata ieri alla Camera dei deputati la mozione 1-01435 per chiedere il riconoscimento delle oltre 30.000 persone morte nel Mediterraneo negli ultimi 15 anni e porre delle basi per una metodologia che renda prassi tale identificazione. Si tratta di un’azione trasversale promossa da diverse parti politiche.
«Se un aereo precipitasse nel Mediterraneo con i nostri parenti, faremmo di tutto per recuperarli, rispetto ai naufragi assistiamo invece alla più assoluta indifferenza» esordisce Cristina Cattaneo, direttrice del Lebanof, laboratorio di antropologia e odontologia forense, la quale nell’ambito della missione avviata dal prefetto e commissario straordinario del Governo per le persone scomparse Vittorio Piscitelli coordina le operazioni di riconoscimento di migranti e rifugiati che hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale.
Milena Santerini, deputata Pd, è tra i firmatari e promotori e richiama il governo ad assumersi un impegno rispetto alla mozione: «C’è stato dicembre 1996 con Portopalo, ottobre 2013 con Lampedusa e aprile 2015 con quasi 800 morti, questi naufragi hanno purtroppo determinato troppi, tanti, fantasmi che vorremmo ridiventassero persone. Si tratta di un diritto fondamentale per i morti ma soprattutto per i vivi».
Tra le motivazioni addotte contro la realizzabilità della mozione vi sono la difficoltà data dall’alto numero di persone scomparse e il fatto che spesso non abbiano documenti con sé. Cattaneo smentisce entrambi i punti: «Dopo i naufragi del 2013 e 2015 abbiamo dimostrato che non è così. Sappiamo di gruppi di familiari in Senegal e Mali che hanno raccolto i dati dei propri cari scomparsi e non sanno a chi darli. Inoltre, la mancata identificazione ad esempio di un genitore rende impossibile a un figlio non riconosciuto come orfano l’opportunità di ricongiungersi ad un parente di grado successivo». In merito all’impossibilità dell’identificazione è perentoria: «semplicemente non è vero, magari lo sarà per alcune zone rurali, ma nella maggior parte dei casi hanno tutti i documenti utili per dar loro un’identità, con sé, nelle proprie tasche, come ciascuno di noi».
Vittorio Piscitelli sottolinea il ruolo della rete creata negli anni, per lavorare all’identificazione dei corpi: «Dalla collaborazione con il Miur abbiamo avuto a disposizione ricercatori da dieci università, che hanno lavorato a titolo gratuito dalla base di Melilli ad Augusta, per sviluppare un metodo di riconoscimento dei corpi per risalire alla loro identità». È nella base di Melilli che la squadra ha esaminato i resti delle vittime del naufragio avvenuto la notte del 18 aprile 2015, estratte dallo scafo a oltre un anno dalla tragedia.
Presente alla Camera anche Beppe Fiorello, protagonista della fiction I fantasmi di Portopalo, tratta dall’omonimo libro di Giovanni Maria Bellu e andata in onda su Rai 1, che ha portato all’attenzione del pubblico la questione dell’identificazione delle vittime dei naufragi che avvengono nel Mediterraneo. «Ha restituito una dignità a persone che non sono più dimenticate – commenta l’attore – la cultura ha così un senso, deve accendere riflettori sui temi scottanti, credo che debba e possa fare politica». Il lavoro per la fiction Rai ha portato l’attore ad aprire una finestra su un mondo prima sconosciuto «ho scoperto che il 90% dei morti durante quel naufragio del 1996 erano giovanissimi, dell’età di mio figlio, e sapere che oggi lui può partire per realizzare i suoi sogni in sicurezza su un aereo e che alcuni suoi coetanei non possono farlo, mi ha fatto pensare e mi ha spinto a reagire».
Il ruolo della narrazione è essenziale anche per Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma: «È raro che una fiction faccia una sintesi politica. Narriamo naufragi, ma poi non raccontiamo le storie delle vittime. Andando a vedere le vittime, troveremo una grande maggioranza di persone che avrebbero avuto diritto all’asilo se fossero arrivate», restituire loro un nome è adempiere, almeno, all’obiettivo di raccontare chi fossero, prima d’imbarcarsi, prima di morire.
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