Per la campagna “Una storia dietro ogni numero” di UNHCR rilanciamo il racconto di Leterbhrane, sopravvissuta al naufragio di Lampedusa. A cura di Barbara Molinario e Iosto Ibba.
Un anno dopo aver quasi perso la vita a largo della piccola isola italiana di Lampedusa, Leterbhrane*, eritrea, supererà la sua paura del mare e tornerà per ricordare le migliaia di persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo sulle navi dei trafficanti.
La ventiquattrenne diceva di non voler più vedere il mare, dopo che la vecchia barca con la quale era partita dalla Libia è naufragata in prossimità di Lamepedusa il 3 ottobre 2013, causando 368 morti e solo 155 sopravvissuti. «Quando ho sentito per la prima volta della possibilità di tornare a Lampedusa per la commemorazione, ho avuto paura. Tutte le immagini che avevo in mente all’improvviso hanno preso vita», ha detto la giovane, che ora vive in Norvegia come rifugiata, riferendosi alla cerimonia ufficiale che si terrà venerdì nella parte più a sud dell’Italia.
«Non volevo mai più vedere il mare. Poi ho realizzato quanto fosse importante per me essere lì. Ringrazio Dio perché sopravvivere al 3 ottobre per me è stato come nascere una seconda volta». Leterbhrane parteciperà alla commemorazione insieme ad altri sopravvissuti.
Leterbhrane ha lasciato l’Eritrea nel 2012 per fuggire alla leva militare obbligatoria. Non ha potuto nemmeno dire addio alla sua famiglia, per il timore di farli preoccupare. È partita insieme alla sua migliore amica Senait e insieme speravano di raggiungere l’Europa e la salvezza.
Hanno impiegato un anno e mezzo per raggiungere le coste della Libia. Sono passate per il Sudan, hanno attraversato il Sahara a bordo di pick-up affollati, vendute di trafficante in trafficante lungo il tragitto. Leterbhrane ricorda che spesso venivano minacciate e colpite, molte donne sono state violentate. Alcuni dei loro compagni di viaggio sono morti per la sete e lo sfinimento.
Dopo essere sopravvissute a tutto questo, una volta raggiunta la Libia hanno deciso che non potevano tornare indietro per la stessa via con cui erano arrivate. «Sapevo che il mare era pericoloso. Avevo sentito molte storie terribili, ma non avevo altra scelta. Non c’era altro posto dove andare».
Leterbhrane ricorda che prima che la barca salpasse, lei e Senait sono rimaste rinchiuse in un edificio in una zona remota con moltissime altre persone, fino a quando non sono diventati abbastanza per riempire l’imbarcazione. Si trovavano in condizioni terribili e a malapena avevano qualcosa da mangiare.
Le due amiche eritree si sono imbarcate vicino Tripoli il 2 ottobre del 2013. Dopo 24 ore in mare, finalmente, alle 4 del mattino, hanno visto le luci di Lampedusa. Erano sufficientemente vicine da poter vedere i fari delle auto in movimento. A un certo punto qualcuno ha dato fuoco a una coperta per attirare l’attenzione delle barche vicine. Ma questo gesto ha sparso il panico a bordo e i profughi si sono ammucchiati su un lato della barca per sfuggire alle fiamme. Il barcone ha cominciato ad imbarcare acqua ed è affondato.
Molti dei sopravvissuti si trovavano sul ponte, mentre molte donne e bambini erano sottocoperta e non hanno fatto in tempo a scappare.
Leterbrhane racconta di essersi aggrappata alla barca, per poi abbandonarsi alle onde nella sua discesa lenta e mortale verso il fondo.
La portata del disastro ha sconvolto l’Italia e ha fatto notizia in tutto il mondo. A Lampedusa ci sono stati cordoglio e molta rabbia per l’incapacità di affrontare il numero crescente di traversate dal Nord Africa e dei relativi pericoli.
A causa di questa tragedia e di un secondo naufragio, avvenuto l’11 ottobre, in cui sono morti 268 rifugiati siriani, il Governo italiano ha lanciato l’operazione Mare Nostrum, che da allora ha salvato più di 140.000 vite fino ad oggi.
Tuttavia, le traversate via mare continuano e aumenta il numero di vittime. Da quel fatidico giorno di un anno fa, più di 3.600 sono morti o scomparsi, molti dei quali rifugiati in fuga da guerre e persecuzioni.
L’UNHCR ha esortato gli Stati europei a fornire alternative legali alle traversate irregolari e contribuire cosi’ a salvare la vita di queste persone. Leterbrhane, nel frattempo, sarà di nuovo a Lampedusa venerdì. Felice di essere viva, ma devastata per coloro che sono morti in mare.
*I nomi sono stati cambiati per proteggere le identità dei rifugiati
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