Di Patrizia Baldi, Murilo H. Cambruzzi su Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea
Il progetto Un Tè a Samarkand nasce dal bisogno di scardinare la narrativa e di cambiare la prospettiva sulle storie di esilio in Italia, tralasciando un racconto generalizzante a favore di un racconto in prima persona e transculturale. Il progetto ha come base la ormai decennale esperienza della Fondazione CDEC nella raccolta di testimonianze e nello studio del fenomeno dell’immigrazione e dell’esilio ebraico. Partendo da un approccio transculturale ed intersezionale, il filmato tocca diversi argomenti nodali e attuali (tradizioni, discriminazione, trauma, appartenenza, etc) per mezzo delle vicissitudini personali dei protagonisti del documentario che provengono da varie comunità e hanno subito discriminazioni e persecuzioni legate alle loro identità, cioè, appartenenza etnica, religione (o ateismo), orientamento sessuale, genere, etc. Oltre al fatto di condividere la condizione dell’esilio, quello che emerge da questo documentario è che sebbene provengano da paesi e culture diverse, i protagonisti coinvolti hanno elementi, tradizioni, usanze, etc, che li accomunano: sia chi è arrivato in Italia da meno di tre anni, sia chi è qui da più di cinquanta.
Il progetto muove da un incontro di carattere esistenziale, davanti ad una tazza di tè in una sala del ristorante Samarkand a Milano, tra persone appartenenti a gruppi minoritari differenti. Samarkand è stato fondato da un gruppo di rifugiati afghani di cultura hazara; oltre a essere un ristorante che offre una varietà di cibo tipici dei paesi dell’Asia Centrale, questo luogo promuove attività culturali e rappresenta il focolare della comunità hazara a Milano.
Nel documentario vengono dibattute questioni rilevanti nel dibattito pubblico italiano, come esilio, immigrazione, discriminazione, antisemitismo, cittadinanza, accoglienza, memoria, etc. La narrativa sui rifugiati in Italia è recente e non include le persone già radicate nel nostro paese da decenni, esse pure costrette a lasciare i paesi d’origine in quanto minoranze perseguitate.
I protagonisti del filmato sono:
Amichai Lazarov, ebreo italo-americano, imprenditore, nato nel 1954 in Israele, di origine Bukhara.
Amin Wahidi, italo-afghano, regista, nato nel 1982 in Afghanistan, di origine Hazara, scappato nel 2007.
Ashraf Barati, afghano, ristoratore, nato nel 1980 in Afghanistan, di origine Hazara, scappato nel 2006.
Azad, profugo politico, nato negli anni 80 in Iran, discriminato per motivi politici, di orientamento sessuale e religiosi (ateo), in Italia da tre anni .
Betti Guetta, ebrea italiana, ricercatrice della Fondazione CDEC, nata nel 1956 in Libia, scappata nel 1957.
Nanette Hayon, ebrea italiana, collaboratrice della Fondazione CDEC, nata nel 1951 in Egitto, scappata nel 1956.
Progetto organizzato dalla Fondazione CDEC con il supporto di: Memoriale della Shoah Milano, Laboratorio Lapsus, Razzismo brutta storia, Arcigay Milano e Deina.
Il filmato integrale è disponibile qui.
La versione corta del filmato è disponibile qui.
Immagine in evidenza di Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea
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