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UNHCR: Thamer e Thayer, due fratelli siriani sopravvissuti a un naufragio

UNHCR: Thamer e Thayer, fratelli in fuga dalla Siria

Non sono solo numeri, ma persone. UNHCR continua a raccontare le storie dei rifugiati per ricordare che dietro alle cifre di ogni indagine statistica, rapporto o grafico, ci sono esseri umani. Traduciamo e pubblichiamo, oggi, l’esperienza di Thamer e Thayer, narrata dal giornalista Preethi Nallu.

Perseguitati dal naufragio

Quando la barca iniziò a imbarcare acqua, Thamer e Thayer, due fratelli provenienti dalla Siria, cominciarono a pregare di essere salvati. Se i soccorsi non fossero arrivati presto, sapevano che sarebbero stati ingoiati dalle profondità del Mar Mediterraneo. Questo viaggio di sola andata era costato loro 2mila dollari a testa. Altri 200, spremuti l’uno contro l’altro a bordo, avevano pagato la stessa cifra. Nessuno aveva garantito loro che sarebbero arrivati in Europa vivi.

A largo della costa di Lampedusa, il viaggio si trasformò in un incubo – fu il secondo dei naufragi dello scorso ottobre, in cui centinaia annegarono lì dove era già possibile avvistare la costa.

In Siria, prima della violenza e degli spargimenti di sangue, i fratelli vivevano in una piccola e unita comunità; “serena”, come la descrivono loro. La vita era semplice e le strade sicure e pulite. Poi la guerra scoppiò, sradicando civili innocenti dalle loro case. Thamer e Thayer furono tra i milioni di siriani a fuggire. «Molte persone hanno scelto di non uccidere e di non essere uccise, così hanno deciso di partire», racconta Thamer.

La loro prima tappa fu la Libia, dove sperarono di poter iniziare una nuova vita. Con uno dei due che studiava ingegneria e l’altro che faceva pratica per diventare cuoco, sembrò che le cose cominciassero ad andar meglio. Ma quando la situazione iniziò a deteriorarsi nel paese, il loro mondo crollò ancora una volta. «La Libia era diventata il cuore delle milizie armate», spiega Thamer. «Chiunque avrebbe potuto fermarti, chiederti il passaporto e portarti in prigione solo perché siriano». Senza alternative, i fratelli presero una decisione disperata. Stavano rischiando tutto – comprese le loro vite – ma lontani da casa, con un futuro sempre più oscuro davanti a loro, non avevano nulla da perdere.

La notte stava calando quando raggiunsero di nascosto la costa. Insieme ad altre centinaia di richiedenti asilo disperati, salirono a bordo di un’imbarcazione e partirono verso l’Italia, pregando per un tragitto sicuro. Sapevano che la possibilità che la barca si capovolgesse era reale. Ma non si sarebbero mai aspettati delle pallottole.

Da qualche parte nelle vicinanze, i miliziani aprirono il fuoco contro la barca, presumibilmente a causa di un disaccordo sul pagamento tra i diversi clan in guerra. Thamer e Thayer si aggrapparono l’uno all’altro nella confusione. L’acqua iniziò a salire, la sentirono alle caviglie. «Ho visto la vita scorrermi davanti agli occhi», ricorda Thayer, che ha 25 anni. «Ho visto la mia infanzia, persone appartenenti alla mia gioventù, cose che pensavo di non ricordare più».

Durante le dieci ore successive l’acqua continuò a riempire l’imbarcazione fino a farla ribaltare. I più vicini ai motori rimasero uccisi all’istante; gli altri furono scagliati tra le onde gelide. Nonostante le stime parlino di poco più di 200 persone a bordo, Thamer e Thayer sostengono che ve ne fossero molte di più – almeno 450, delle quali oltre la metà affogate.

I fratelli hanno visto molti dei compagni di viaggio morire. «C’era una donna incinta, con suo figlio», mormora Thayer. «Sono morti. Il cadavere del figlio galleggiava sull’acqua», racconta il giovane chiudendo gli occhi al ricordo. Quando alla fine i soccorsi arrivarono, fu troppo tardi per tanti. Thamer e Tahyer sono due dei fortunati sopravvissuti.

I naufragi del 3 e dell’11 ottobre, a largo delle coste di Lampedusa, hanno scatenato un ampio dibattito sulla politica di asilo in Europa, portando le autorità italiane a lanciare l’operazione di ricerca e soccorso nota come Mare Nostrum. A oggi (24 luglio 2014, ndr) ha soccorso più di 80mila persone, salvando indubbiamente la vita di molti.

Otto mesi dopo, Thamer e Thayer hanno fatto richiesta d’asilo e si trovano in una sonnolenta cittadina sulla costa occidentale della Sicilia. Attendono ancora di ricominciare le loro vite. «Vogliamo andare avanti», dice Tahyer. Lui e suo fratello pregano per avere l’occasione di ricominciare.

Foto UNHCR/A.D’Amato. 

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