Durante il 2015 guerra e persecuzioni di vario genere hanno di fatto portato a un incremento delle migrazioni forzate nel mondo, con oltre 65 milioni tra richiedenti asilo, rifugiati e sfollati interni. Più della metà (51%) è rappresentata da bambini, molti dei quali non accompagnati.
A livello globale, con una popolazione stimata di 7.349 miliardi di persone, i numeri indicano che 1 persona su 113 è oggi un richiedente asilo, sfollato interno o rifugiato. Ciò significa che, in totale, il numero di persone costrette alla fuga è più alto del numero di abitanti della Francia, del Regno Unito o dell’Italia.
Tra le nazioni coperte dal report Global Trends, i tre paesi che da soli generano oltre la metà dei rifugiati: la Siria con 4.9 milioni di rifugiati, l’Afghanistan con 2.7 milioni e la Somalia con 1.1 milioni. A determinare questa situazione tre ragioni principali: le crisi che causano grandi flussi di rifugiati durano, come i conflitti in Somalia o Afghanistan; l’insorgere di nuovi conflitti o l’intensificazione delle crisi già in corso (negli ultimi cinque anni ne sono stati protagonisti Sud Sudan, Yemen, Burundi, Ucraina, Repubblica Centroafricana ecc.); il venire meno della tempestività nell’individuazione di soluzioni per rifugiati e sfollati interni.
Nonostante i media europei siano focalizzati sulle difficoltà affrontate dal continente nella gestione del milione e oltre di rifugiati e migranti arrivati via mare nel Mediterraneo, l’86% dei rifugiati sotto mandato Unhcr nel 2015 erano in paesi a basso o medio reddito, in prossimità di situazioni di conflitto. Nel mondo, la Turchia è il principale paese ospitante, con 2.5 milioni di rifugiati, mentre è il Libano invece a ospitare il più alto numero di rifugiati rispetto alla popolazione nel paese (183 rifugiati ogni 1.000 abitanti).
Nel 2015, inoltre, in pochi hanno potuto far ritorno a casa: solo 201.400 rifugiati sono tornati nei loro paesi d’origine, un dato maggiore rispetto a quello del 2014, ma ancora basso in confronto ai picchi raggiunti agli inizi degli anni novanta. 107.100 rifugiati, ovvero lo 0.66%, sono stati inseriti nei programmi di reinsediamento in 30 paesi nel 2015.
«Il numero, la complessità e la natura prolungata dei conflitti di oggi significano che le migrazioni forzate hanno ormai raggiunto un livello senza precedenti dalla fondazione delle Nazioni Unite – dichiara Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni unite per i Rifugiati – Invece di una ripartizione degli oneri, vediamo la chiusura delle frontiere; invece di volontà politica c’è paralisi politica. E le organizzazioni umanitarie come la mia sono lasciate ad affrontarne le conseguenze, mentre allo stesso tempo lottano per salvare vite con budget limitati».
Ma c’è speranza, secondo Grandi: «In contrasto con la narrazione tossica ripetutamente presente nei media, abbiamo spesso assistito a slanci di generosità da parte delle comunità di accoglienza, da parte di singoli individui e da parte di famiglie che hanno aperto le loro case». In questo contesto è stata lanciata la campagna #WithRefugees: per dire ai governi che l’opinione pubblica è dalla parte dei rifugiati e che essi devono intervenire per trovare soluzioni sostenibili.
“Garantire che ogni bambino rifugiato riceva un’istruzione. Garantire che ogni famiglia di rifugiati abbia un posto sicuro in cui vivere. Garantire che ogni rifugiato possa lavorare o imparare nuove competenze per dare un contributo positivo alla comunità”, questo il testo della petizione online, già sottoscritta da numerosi volti noti.
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