Festa per l’attentato ISIS. Una bufala che portò all’incendio di un bar di Pioltello. Chiesto il processo per i giornalisti Mediaset
A cura di Andrea Zitelli per Valigia Blu
Com’è nata la falsa notizia dei festeggiamenti in un bar di Pioltello dopo l’attentato di Manchester. Lo scorso 23 maggio a Mattino 5, programma su Canale 5, si sta parlando dell’attentato del giorno prima avvenuto a Manchester, rivendicato dall’ISIS, al termine del concerto della cantante Ariana Grande, in cui furono uccise 22 persone. Durante la trasmissione il giornalista Carmelo Abbate, ospite in studio, riferisce di essere stato «contattato da cittadini di Pioltello (ndr un Comune lombardo)» e di essere stato informato che la sera prima «in un bar di Pioltello verso le 11 c’era gente che esultava e che brindava» dopo l’attentato di Manchester. Abbate non specifica il nome del bar, ma dice che lo farà ai carabinieri del Comune alla fine della puntata per avvertirli di quanto è venuto a sapere: «Chiederò di accertarsi se c’era in corso una festa di compleanno ed eventualmente quale compleanno si festeggiava, visto che mi dicono che è un ritrovo di spacciatori extracomunitari ed eventualmente di sapere qual è la quotidianità di queste persone».
Il giorno successivo, il 24 maggio, sempre su Mattino 5 viene mandato in onda un servizio di Francesco De Luca (il link del servizio non è più funzionante sul sito di Mediaset, ma si può vedere qui caricato da una pagina su Facebbok) su quanto rivelato da Abbate. Nel sottopancia del servizio si legge: “Attentato a Manchester, a Pioltello gli immigrati esultano per l’attentato?”. Nel video, racconta Leonardo Bianchi su Vice News Italia, “l’inviato raccoglie un po’ di voci di residenti italiani e stranieri. Qualcuno riporta che altri avrebbero visto degli strani movimenti di fronte a questo bar; altri ancora che la polizia sarebbe arrivata davanti all’esercizio commerciale”. Nessuno, però, continua Bianchi, sembra aver assistito alla scena in prima persona.
In un bar di Pioltello un gruppo di islamici avrebbe festeggiato dopo l’attentato a #Manchester#mattino5https://t.co/22zeFkD64lpic.twitter.com/0d44VL3jmz
— Mattino5 (@mattino5) 24 maggio 2017
La “notizia” viene rilanciata anche da Silvia Sardone, consigliere comunale di Forza Italia a Milano. Sardone rimuoverà poi il suo post. Il 25 maggio, Il Giorno pubblica la dichiarazione del titolare del Bar in questione che smentisce quanto rivelato in tv: “«È partito tutto da una segnalazione razzista e il nostro bar è finito sotto torchio. È una situazione assurda. Questa mattina (ieri per chi legge, ndr) abbiamo ricevuto controlli da tutte le forze dell’ordine: sono arrivati gli agenti dell’antiterrorismo, i carabinieri e la polizia”, racconta Mimmo Sidella del Marrakech Lounge Bar, il locale finito sotto accusa. «La notizia è falsa. I carabinieri hanno individuato la fonte: si tratta di un uomo che scrive sui social dei post che inneggiano al razzismo, siamo pronti a denunciarlo»”. Nella notte tra il 24 maggio e il 25 maggio, però, il locale subisce un attentato incendiario.
“Al bar esultano per l’attentato” La bufala scatena il raid razzista https://t.co/l3k59MiDKW
— La Stampa (@LaStampa) 26 maggio 2017
La procura chiude le indagini e chiede il processo
La mancata verifica e la diffusione di un contenuto diffamatorio
Fermo restando che al momento abbiamo pochi dati sul procedimento in corso, appare evidente, però, che non si tratta di una questione relativa alle ‘fake news’. Il reato contestato al cittadino che avrebbe, secondo quanto possiamo sapere al momento, pubblicato la “falsa notizia” sul profilo del giornalista, è il reato di diffamazione, cioè dovrà rispondere per aver offeso la reputazione e l’onore del titolare del bar asserendo che all’interno dello stesso sarebbero avvenuti degli accadimenti in realtà mai avvenuti. Diffamazione aggravata perché la notizia falsa è stata veicolata attraverso il mezzo della pubblicità, e probabilmente anche per l’attribuzione di un fatto determinato (il brindisi). Da come si può evincere dal racconto dei fatti, in questo caso il riferimento non è tanto a Facebook, quanto piuttosto alla trasmissione televisiva che avrebbe veicolato il messaggio diffamatorio. Infatti, sarebbe indagato anche il conduttore della trasmissione televisiva, e il direttore responsabile della testata Videonews, che risponde di omesso controllo.Quindi, da quanto è possibile ricavare al momento, non è un problema di ‘fake news’ online ma di una banale diffamazione tramite giornale e trasmissione televisiva. La particolarità della situazione semmai sta nel fatto che i giornalisti sarebbero partiti, per preparare la notizia, da un commento online su Facebook, per cui nel caso specifico sembrerebbe che i giornalisti abbiano mancato nel loro dovere di accertare la verità dei fatti e verificare la fonte della notizia, così come previsto non solo dalle norme deontologiche della professione (Testo unico, art. 9) ma anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. V pen. Sent. 1183/2002). L’obbligo primario dell’esercente la professione, infatti, è di esaminare, verificare e controllare, in termini di adeguata serietà professionale, la consistenza della relativa fonte di informazione. Il giornalista è spesso dibattuto tra l’esigenza di informare il pubblico quanto prima e quella di verificare la fondatezza della notizia, ma il corretto esercizio del diritto di cronaca si fonda proprio su un bilanciamento tra le due esigenze. Il giornalista deve verificare l’attendibilità della fonte e ricercare elementi che confermino la notizia, ed è pacifico che il giudizio di attendibilità si fonda anche sull’autorevolezza della fonte. Più la fonte è autorevole, minore è l’esigenza di cercare riscontri.La “verità” può anche essere putativa, nel senso che può essere sufficiente, per evitare una condanna del giornalista, che questi provi di aver svolto un lavoro di ricerca e verifica della notizia, e che comunque sia rimasto ‘ingannato’, ma occorre che tale ricerca sia particolarmente diligente. In tale ottica è importante notare che la ‘verità putativa’ non può mai basarsi su altro mezzo di informazione per quanto autorevole possa essere (anche un’agenzia di stampa), perché in tal modo si realizzerebbe una gerarchizzazione delle fonti di informazione che è inconciliabile con il pluralismo dei mezzi di informazione e tale da portare il giornalista a rinunciare al contatto diretto con la notizia e quindi alla sua funzione di ‘fare informazione’.Ovviamente occorre rimarcare che siamo ancora alla fase della conclusione delle indagini preliminari, per cui ci sarà probabilmente un dibattimento nel quale saranno vagliati i fatti per verificare se davvero sussistono gli estremi dei reati contestati.