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Vite alla deriva. Amnesty chiede all’Europa di intervenire

Amnesty: indispensabile riformare il sistema d’asilo in Europa

Abdel, un marmista di 37 anni, padre di sei figli, era fuggito da Aleppo, in Siria, per raggiungere la Libia nel 2012. Nel 2014, preoccupato per la sicurezza della sua famiglia in Libia, ha deciso di partire. «Lo scafista si era organizzato per venire a prendermi assieme alla mia famiglia e portarci alla spiaggia di Zuwara. Nel gruppo c’erano circa 300 siriani e all’incirca 500 africani di varie nazionalità. I libici coinvolti nell’operazione venivano ogni giorno alla spiaggia armati di pistola ed eravamo terrorizzati. Ho visto alcuni africani che venivano picchiati e alcuni persino percossi a morte con pezzi di legno e ferro. Gli africani avevano la peggio perché li trattavano come se non fossero neppure esseri umani». Alla fine, gli uomini armati li hanno accompagnati tutti vicino alla riva dove aspettavano dei gommoni. «Quando io e la mia famiglia siamo stati portati sulla barca più grande, ci aspettavamo che sarebbe stata grande abbastanza perché eravamo davvero tanti. Abbiamo avuto subito una brutta sensazione riguardo al viaggio. Sulla barca c’erano troppe persone. Il capitano era uno dei passeggeri africani sulla barca e non un vero comandante. Ci siamo messi a calcolare che ci sarebbero volute circa sei o sette ore ad arrivare, ma a mezzogiorno della domenica non eravamo ancora arrivati. Ci eravamo persi».

Abdel è stato intervistato a luglio da Amnesty a Pozzallo, in Sicilia, dove è arrivato con la moglie e i figli, a luglio. È una delle numerose voci ascoltate dall’organizzazione internazionale durante le tre missioni di ricerca che hanno portato all’elaborazione del rapporto “Vite alla deriva”.

«Mentre l’Unione europea erige muri sempre più alti, i rifugiati e i migranti attraversano il Mediterraneo nel disperato tentativo di raggiungere le coste europee. Stipati su imbarcazioni insicure da scafisti senza scrupoli, ogni settimana centinaia di loro ondeggiano tra la vita e la morte, tra la speranza e la disperazione – dichiara John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International – Dall’inizio dell’anno, oltre 2500 persone partite dall’Africa del Nord sono annegate o disperse nel Mediterraneo. L’Europa non può ignorare la tragedia che si sta compiendo alle sue porte. Un numero maggiore di navi per la ricerca e il soccorso nel Mediterraneo centrale, col chiaro compito di salvare vite umane in acque internazionali e risorse adeguate per svolgerlo al meglio: ecco cosa l’Unione europea e i suoi stati membri devono fornire con urgenza».

All’interno di “Vite alla deriva”, Amnesty ricorda che nei primi otto mesi del 2014, il 40% delle persone arrivate irregolarmente in Europa attraverso il Mediterraneo centrale sono di nazionalità eritrea (23%) e siriana (17%); nel 2013, il 48% di tutti gli ingressi irregolari e il 63% di quelli via mare in Europa vedeva protagoniste persone provenienti dalla Siria, dall’Eritrea, dall’Afghanistan e dalla Somalia.

I richiedenti asilo incontrati da Amnesty International hanno descritto la traversata del Mediterraneo come un’esperienza terrificante. Il viaggio su imbarcazioni fatiscenti e sovraffollate, guidate da comandanti improvvisati, sono rese ancor più pericolose dagli imprevisti: non sono rari i casi in cui viene persa la rotta, il carburante si esaurisce o si verifica un guasto meccanico. I passeggeri spesso finiscono per disidratarsi o intossicarsi con i fumi prodotti dal motore e nei casi peggiori restano asfissiati a causa della ressa; molti di loro non sanno nuotare. Gli incidenti mortali, purtroppo, non costituiscono un’eccezione.

Amnesty sostiene che a causare l’aumento del numero di persone disposte a sfidare il Mediterraneo non vi è soltanto “un’accresciuta instabilità in Medio Oriente e del deterioramento della situazione in Libia negli ultimi 12 mesi“. Secondo l’organizzazione internazionale per i diritti umani “è anche la conseguenza della progressiva chiusura delle frontiere terrestri europee e della mancanza di canali sicuri e regolari per i migranti e i rifugiati che intendono raggiungere l’Europa”.

Persino il massimo sforzo da parte italiana con l’operazione Mare Nostrum, osserva Amnesty nel rapporto, è stato insufficiente a impedire le drammatiche perdite di vite umane dell’estate del 2014. È indispensabile, secondo l’organizzazione, riformare il sistema d’asilo dell’Unione. «Mare nostrum ha salvato decine di migliaia di vite ma non è una soluzione a lungo termine. Occorre uno sforzo comune europeo per realizzare quella che è una responsabilità comune dei paesi dell’Unione europea – ha spiegato Dalhuisen – La recente proposta di affidare tali operazioni a Frontex, l’agenzia dell’Unione europea per il controllo delle frontiere, sarà un passo positivo solo se gli stati membri metteranno a disposizione mezzi adeguati e se le operazioni si svolgeranno in acque internazionali con un mandato nettamente focalizzato sulla ricerca e il soccorso».

La sintesi del rapporto: “Vite alla deriva

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