Di Alidad Shiri*
La situazione dei richiedenti asilo al confine tra Grecia e Turchia continua ad essere drammatica. La Grecia ha usato anche i lacrimogeni per impedire ai migranti l’ingresso nel suo territorio. C’era fumo ovunque, e la bambina abbracciata alla madre piangeva disperatamente, il ragazzo e l’anziano scappavano: scene di guerra.
Atti di crudeltà incredibili. Qui si trovava anche Habib con sua moglie. Viene dall’Afghanistan dove faceva il regista e l’attore. Ha prodotto 4 film per sensibilizzare sui diritti delle donne. È stato minacciato dai fondamentalisti. Racconta: “Nel periodo dei talebani erano vietati musica, cinema, tv, giornali. Non potevi neanche andare a vedere una partita di calcio, perché lo stadio era diventato un campo di impiccagione. Mia moglie ed io siamo stati costretti a scappare, prima in Iran, poi in Turchia.
Qui siamo stati incarcerati per otto giorni. Ci davano da mangiare una volta al giorno, ci buttavano il cibo per terra.” Hanno ricevuto un foglio di via per Cankhale, città sulla costa turca. Si sono presentati in questura, ma gli hanno risposto di tornare dopo sei mesi. Dopo hanno sentito che il governo turco aveva aperto la frontiera, e sono felicemente ripartiti e arrivati al confine: “Qui ci sono migliaia di persone. Da una parte il governo turco ci spinge verso la Grecia, dall’altra arriva la pioggia di lacrimogeni greci. Siamo qui da più di un mese, non abbiamo cibo, la situazione igienica è drammatica. Alle famiglie danno una volta al giorno una bottiglia d’acqua e un pacchetto di biscotti.” Prosegue piangendo: “Per riceverli, dobbiamo alzarci alle 3 di mattina e metterci in fila. Spesso ci picchiano, ci sequestrano i cellulari.”
Alla fine di marzo il governo turco li ha trasferiti a forza, picchiandoli e strappando le loro tende, in due centri della Turchia. La Grecia ha sospeso la procedura delle domande di asilo, e ha stabilito una multa di 10.000 euro per chi entra. Lo afferma Nadir Noori, un giovane afghano che vive da 17 anni in Grecia. L’ho conosciuto a Teheran, dove lavoravamo insieme in una fabbrica. Lui fu poi bloccato in Grecia. Ha lavorato come coordinatore degli interpreti per le autorità locali e le Ong. Ci siamo rivisti alcuni anni fa quando riuscii a fare un salto in Grecia. Insieme ad altri, Nadir ha aperto una biblioteca del mondo, con libri in 18 lingue, che è diventata un luogo di studio e un punto di riferimento.
Il giornale greco “Ekathimerini” scrive che il Centro di Moria a Lesbo sarebbe per 3.300 profughi, ma ce sono più di 18985 e annuncia che le autorità ridurranno l’affollamento nei 27 centri, pericolosissimo in tempi di pandemia. Dato che incominciano a diffondersi i casi di coronavirus è evidente il rischio che il contagio possa espandersi rapidamente nei campi. L’UNHCR ci dice che dal primo gennaio 2020 al 5 aprile gli arrivi in Grecia sono stati 9.620. I miei connazionali sono il 45,2%, i siriani il 22,8%, i congolesi il 6,8%, gli iracheni il 4,3%.
La situazione continua ad aggravarsi, tutti i centri sono superaffollati, non solo nelle isole ma anche ad Atene. Ormai la pubblica opinione è completamente distolta da questa immane tragedia umana ai propri margini.
Io stesso ho fatto il viaggio lunghissimo e pericolosissimo dall’Afghanistan all’Italia. Una lotta continua tra la vita e la morte attraverso Iran, Turchia, Grecia, per arrivare infine a Bolzano attaccato a un semiasse sotto un tir. Ho dovuto sopportare sete e fame, fatiche fisiche e psicologiche. Porto ancora dentro di me la sofferenza per alcune donne e uomini che non ce l’hanno fatta a proseguire con noi il cammino verso la costa e quindi verso la salvezza. Ci penso spesso, sono ferite indelebili.
Mi tormentano i sogni delle orrende immagini di violenza e di morte che ho visto con i miei occhi: bambini mutilati, cadaveri abbandonati per le strade, salme di genitori riportati a casa nei sacchi. La mia esperienza insegna che anche se si riesce a ricostruirsi una vita e a realizzare i propri sogni, questi vissuti sono una cicatrice che non riesce mai a rimarginarsi del tutto perché ci ritroviamo così fragili di fronte agli eventi della vita. Per tutti noi questo è un momento molto difficile che condividiamo con la popolazione italiana, donne e uomini, bambini e anziani, che abbiamo imparato ad amare.
*Alidad Shiri è un rifugiato afghano, è cofondatore di Unione Nazionale Italiana per i Rifugiati ed Esuli -Unire, vive in Alto Adige. Attualmente è editorialista dei quotidiani locali: Alto Adige e Trentino. Studente di Filosofia con indirizzo “Politica-Etica-Religioni” presso l’Università degli Studi di Trento.Ha raccontato e condiviso la sua storia nel libro “Via dalla pazza guerra”, ed “Il Margine”, tradotto anche in tedesco. È coautore del libro per bambini “Anche Superman era un Rifugiato”ed. Battello a Vapore e “La grande Illusione, l’Afghanistan in guerra dal 1979” ed Rosenberg&Sellier.
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