Anche in questi giorni di sbarchi, falsi allarmi sanitari e speculazioni politiche su migranti e rifugiati, le parole “rom”, “romeni”, “nomadi” e zingari” riescono a trovar spazio in titoli e testi.
Quando l’origine è un’etichetta usata per identificare i protagonisti negativi della cronaca, un dito puntato contro una categoria più che un’informazione per il lettore, l’Associazione Carta di Roma non può che condannare il ricorso dei media a tali definizioni. La situazione si fa ancora più grave quando a questo fenomeno è associato l’uso impreciso degli stessi termini che rischia di creare confusione per chi legge e di diventare esempio di un giornalismo superficiale.
«Inquilini in piazza contro i rom», titola l’edizione milanese di Libero nella rassegna di oggi: ma chi sono questi “rom”, che sono invece descritti dalla cronaca locale di Repubblica come «famiglie romene»? Quando l’accusa, come in questo caso, è di aver occupato stabilmente delle abitazioni in modo abusivo non suona come un’antitesi definirli «nomadi» (citando lo stesso articolo di Libero)? E poi «Stazioni covo di rom e abusivi»: in quest’altro pezzo, ancora una volta tratto da Libero, l’autore passa dai rom, ai romeni, agli zingari. Sul web, invece, il 18 maggio spiccavano tra gli altri migranti gli «zingari, tanti zingari» di cui scriveva Corriere.it a proposito dei venditori ambulanti di Cascina.
Come questi, tanti altri pezzi mi hanno fatto venire alcuni dubbi. Quando leggo rom, il protagonista è veramente rom? Quando passando da una riga all’altra dello stesso articolo, in riferimento alla medesima persona o gruppo, vengono alternati i termini rom e romeno, si vuole indicare un rom, un romeno o un rom romeno? Le presunte origini corrispondono a quelle reali o ci si basa sugli stereotipi per “classificare” alcune persone? Con l’aiuto di Associazione 21 luglio abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza su questi termini.
«I rom sono un gruppo etnico costituito da comunità eterogenee che condividono la lingua (parlano diversi dialetti del romanì), ma hanno usi e costumi differenti a seconda del paese di provenienza e si dividono, quindi, in numerosi sottogruppi. Le loro radici sono tra l’India e il Pakistan, nel corso dei secoli hanno attraversato i continenti, in alcuni casi diventando sedentari e in altri continuando a spostarsi. In Italia le stime più autorevoli parlano di circa 150 o 170mila rom, che costituiscono solo l’0,2-0,3% della popolazione italiana. La metà di questi è di nazionalità italiana. Inoltre trentacinque o quarantamila rom, metà dei quali minorenni, vivono in campi nomadi e rappresentano, nell’immaginario collettivo, i cosiddetti “zingari”. Il totale di rom in Italia corrisponde a una cifra di gran lunga inferiore rispetto a quella registrata in Romania o in Spagna. Esistono, infatti, come i rom italiani, anche i rom con nazionalità spagnola, inglese, romena e via dicendo».
Il livello di confusione, su questo punto, è altissimo. Potrà apparire banale dare una definizione di “romeno”, ma sembra essere necessario: con l’aggettivo “romeno” si indica un cittadino della Romania. Il popolo romeno non è rom: non ha origini comuni con l’etnia rom, i rispettivi idiomi non hanno radici condivise, anche le origini etimologiche delle parole “rom” e “Romania” sono diverse. Un rom, tuttavia, può avere nazionalità romena ed essere dunque un rom romeno. Per tutte queste ragioni i termini “rom”, “romeno” e “rom romeno” non devono essere confusi o usati come sinonimi. «Probabilmente – prosegue l’Associazione 21 luglio – il fatto che in Romania la presenza di cittadini rom sia elevata, insieme all’aumento del numero di persone romene in Italia, ha portato a una certa confusione nell’uso della terminologia appropriata sotto questo punto di vista». Il metodo più efficace per evitare di usare il termine sbagliato resta ancora il più semplice: chiedere al diretto interessato quali sono le sue origini e quale la nazionalità.
Il termine “zingari” indica in modo generico diversi gruppi etnici (rom e sinti sono i principali) che in passato avevano uno stile di vita nomade. Purtroppo, negli anni, a questo termine è stato attribuito un forte carico dispregiativo, tanto da essere considerato, a seconda delle circostanze, un insulto. Oltre a non dare alcuna informazione precisa al lettore sull’origine e la nazionalità del soggetto, questo termine viene scelto dai media per la sua accezione negativa. «Per non cadere nel politicamente scorretto i media talvolta preferisco a “zingari” la parola “nomadi”, pensando di fare riferimento a un tratto peculiare delle comunità rom e sinti – prosegue Enrico Guida – Questo è altrettanto sbagliato: in passato la percentuale di nomadismo era elevata, i mestieri praticati spingevano questi gruppi a spostarsi, ma oggi, nel 2014, parlare di nomadi non corrisponde affatto alla realtà. Il fatto che il sindaco Marino abbia da poco abolito l’uso del termine “nomadi” nelle comunicazioni istituzionali e nei documenti non deve essere sminuito: a contare sono i fatti, ma le parole hanno un grandissimo potere. L’uso dell’aggettivo “nomade” da parte dei media significa fornire delle informazioni sbagliate ai lettori o agli ascoltatori, i quali continueranno così a pensare che il nomadismo appartenga tuttora alla cultura di rom e sinti».
Di seguito gli articoli ai quali si fa riferimento:
«Inquilini in piazza contro i rom», Libero, edizione Milano
«Insulti e saluti romani contro le case Aler», La Repubblica, edizione Milano
«Stazioni covo di rom e abusivi», Libero
«Cascina Gobba, stop alla fiera dell’Est. Gli ambulanti: ma abbiamo la licenza», Corriere.it, edizione Milano
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