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Polarizzati o normalizzati, i giornali all’epoca della crisi dei rifugiati

In Italia, come in Spagna e in Svezia, un racconto più pacato e informato. Giovanni Maria Bellu: «Difficile parlare di un cambiamento strutturale»

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Prendiamo due citazioni da un recente rapporto dell’Unhcr (dicembre 2015, i dati si riferiscono ai primi mesi dell’anno) sulla copertura della crisi dei rifugiati e dei migranti da parte della stampa europea.

La prima:

La copertura stampa [dell’immigrazione] rappresenta un caso particolare. È stata molto più polarizzata che nel resto degli esempi Ue presi in considerazione. Ciò significa che è impossibile parlare di una copertura stampa XY in generale, ma che invece è necessario parlare dei singoli giornali, uno per uno.

La seconda:

La stampa YX ha tematizzato le prospettive dei migranti e delle Ong in modo da dare spazio significativo a storie simpatetiche per la condizione dei migranti e dei rifugiati e al tempo stesso promuovendo i diritti per conto loro.

Nella prima è descritta la polarizzazione, l’impossibilità a ridurre a uno la frammentazione tra i vari stili di raccontare la crisi dei rifugiati. C’è il giornale allarmato e quello rassicurante, quello pro o quello contro, c’è chi cerca di capire le ragioni, di raccontare un fenomeno o chi fomenta la conflittualità. Nella seconda c’è una relativa omogeneità tra le voci della stampa, in maggioranza d’accordo con un’impostazione di fondo comune. Abbiamo volutamente omesso le nazionalità a cui si riferisce l’analisi dell’Alto Commissariato per i Rifugiati.

Si tratta, in estrema sintesi, di tipologie del giornalismo occidentale così come le hanno descritte Daniel Hallin e Paolo Mancini in Modelli di giornalismo. Quello mediterraneo, in cui vanno annoverate Italia e Spagna, è frammentato, polarizzato, è sì pluralista ma nel senso che ogni testata in edicola rappresenta uno spicchio più o meno grande di opinione pubblica.

Al contrario in quello anglosassone i poli ideologico-culturali non sono rappresentati sotto le insegne di varie testate ma, tuttalpiù, possono abitare nella stessa redazione. “Pluralismo interno” l’hanno battezzato Hallin e Mancini, contrapponendolo a quello esterno e polarizzato all’italiana.

Polarizzazione in Gran Bretagna

Quindi tutto chiaro? Sembrerebbe che dietro la citazione 1 si nasconda l’Italia e dietro la 2 la Gran Bretagna. E invece no, neanche per sogno. Sorpresa: il 2015 è stato l’anno in cui la stampa britannica di fronte alla crisi dei rifugiati si è scoperta spaccata, mentre quella italiana ha rivelato una vocazione quanto meno all’omogeneità e a una relativa pacatezza.

Vediamo qualche dato.

Da una parte il Guardian che ha seguito con attenzione quotidiana la “refugee crisis”. Dall’altra i giornali conservatori e di destra che hanno appoggiato e continuano ad appoggiare la linea dura contro i rifugiati e i migranti.

Come sottolinea la Cardiff School of Journalism, Media and Cultural Studies, questa polarizzazione emerge osservando la bassa percentuale di articoli che toccano temi umanitari (il Daily Mail 20.9%, il Sun 7.1% rispetto a una media europea del 38.3%) e al tempo stesso l’alta percentuale di articoli che enfatizzano la minaccia che porterebbero rifugiati e migranti al sistema del welfare britannico (il Daily Telegraph 15.8%, il Daily Mail 41.9%, il Sun 26.2%, rispetto a una media europea del 8.9%). Da una parte il Guardian dall’altra i tabloid ma non solo.

In Gran Bretagna alla preoccupazione più alta per l’arrivo di nuovi migranti corrisponde il modo in cui i giornali trattano il tema immigrazione. Secondo i dati raccolti dal Centre for Trust, Peace and Social Relations nello studio “Victims and Villains. Migrant Voices in the British media”, il principale frame con cui la stampa inglese ha raccontato l’immigrazione è “criminale” con il 46% degli articoli.

Qual è la causa di questo comportamento in gran parte nuovo? «Su molti media – osserva Nando Sigona professore dell’Institute for Research into Superdiversity all’Università di Birmingham – la crisi dei rifugiati e il tema dell’immigrazione sono un mezzo, non il fine. Il fine in questa fase è l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, la cosiddetta “Brexit”, e la creazione del “pericolo da invasione” è strumentale a quell’agenda». E, va ricordato, nel maggio 2015 si sono svolte le elezioni sull’isola e la comunicazione politica doveva far breccia nell’elettorato, assecondando e alimentando le paure.

La “normalizzazione” italiana

«La stampa più omogenea [nella trattazione della crisi dei migranti] è stata quella spagnola, quella svedese e quella italiana. I giornali di questi tre paesi hanno usato spesso lo stesso linguaggio, hanno scritto degli stessi temi e fornito le stesse spiegazioni e risposte». In Italia, scrive l’Unhcr nel suo rapporto, c’è stata una voce comune nel racconto almeno dei primi mesi della crisi del 2015.

“Omogeneità” la chiama l’Alto Commissariato, “normalizzazione” la definisce Nando Sigona. «In Italia il racconto della crisi è diventato più cauto e informato, in parte facendo propria la strategia di “normalizzazione” della crisi portata avanti dal governo. Il rischio è che diventi troppo supina al racconto ufficiale. La situazione sul campo sta cambiando velocemente e c’è bisogno che la stampa svolga un ruolo di watchdog».

Nell’andamento annuale delle notizie, i titoli allarmistici sull’immigrazione sono rimasti costantemente una parte limitata del racconto sui media. Malgrado la centralità del binomio terrorismo-immigrazione, «è l’accoglienza – si legge nel rapporto “Notizie di confine” di Carta di Roma – il tema attorno al quale ruota la maggior parte della comunicazione sull’immigrazione: oltre la metà dei titoli (55%) contiene un riferimento alla gestione degli arrivi di migranti e profughi».

Nel complesso equilibrata la distribuzione dei titoli tra rassicurazione e allarme nelle varie testate italiane (con l’eccezione de Il Giornale in cui solo il 9,2% degli articoli fa uso di toni pacati).

Persiste una certa diffidenza verso l’altro, verso il “mondo”, come lo definisce Ilvo Diamanti nel suo commento al IX Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza sociale in Italia e in Europa realizzato da Demos & Pi e Osservatorio di Pavia per Fondazione Unipolis. Ma quell'”altro” che è lo straniero non fa paura perché immigrato: nel gennaio 2016, solo il 6% degli italiani ritiene che l’immigrazione sia un’emergenza, in Gran Bretagna il 21,4 e in Germania il 43,7%. Piuttosto spaventa in quanto potenziale terrorista, criminale o perché lavoratore concorrente. E su quest’aspetto che fa leva la propaganda anti-immigrati: attribuire agli stranieri tutte le paure che circolano nella società.

Detto ciò dei giornali italiani, in un paese in cui – secondo il Censis –  il 96,7% della popolazione dichiara di guardare la tv e il 76,5% dichiara di informarsi attraverso i tg, la correlazione tra paura e informazione televisiva è un nodo cruciale. Quanto siamo influenzati dalla vista del corpo senza vita di un bambino su una spiaggia turca? e quanto dalla notizia di uno straniero che commette un omicidio?

Vediamo cosa dicono i numeri. Sono 3437 le notizie sull’immigrazione e sulla crisi dei rifugiati passate sui tg di prima serata di Rai, Mediaset e La7 nel 2015. Di queste, 1996 nel I semestre e 1441 nel secondo. Una cifra che è un record per il nostro paese e rappresenta più del triplo di quelle andate in onda nel 2014.

Tuttavia, come si legge nel terzo rapporto “Notizie di confine” elaborato da Carta di Roma – e come mostra il grafico qui sopra – «non esiste una correlazione tra il numero di notizie e l’aumento della paura verso gli immigrati».

Ma dunque, nel 2015 c’è stata una maturazione dell’informazione in Italia per quel che riguarda l’immigrazione? Non è convinto Giovanni Maria Bellu presidente di Carta di Roma «consideriamo che molti cambiamenti nel racconto dei media spesso avvengono a ridosso di tornate elettorali. Nel complesso è difficile parlare di un cambiamento strutturale». Il 2016 con gli appuntamenti elettorali di giugno rappresenta un test importante per verificare se la “normalizzazione” di stampa e tv italiane è una realtà consolidata oppure un momento di tregua tra una radicalizzazione da campagna politica e l’altra.

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