Di Giovanni Maria Bellu
L’informazione italiana si occupa sempre più spesso di immigrazione. E lo fa anche con un atteggiamento “positivo”. Cioè parla dei migranti con comprensione e simpatia. Ma ne parla soprattutto quando qualche evento, in particolare se l’evento è catastrofico, la obbliga a farlo. Il migrante-tipo dell’informazione italiana nel 2013 è stato il naufrago. E la problematica maggiormente coperta è stata quella di carattere amministrativo. Quest’ultimo dato potrebbe apparire bizzarro e contraddittorio se, nella classificazione per temi, non fossero stati inseriti in questa categoria tutti gli articoli sul Cie di Lampedusa. Articoli, cioè, derivati dal catastrofico evento principale.
Sono questi, in estrema sintesi, i risultati dell’analisi svolta, per l’Osservatorio di Carta di Roma, dalle tre università (Bologna, Torino e Roma-La Sapienza) che hanno svolto il monitoraggio sull’informazione italiana nel 2013 e redatto gli studi che – assieme alla prefazione di Igiaba Scego, agli interventi di Attilio Bolzoni e Gian Antonio Stella e all’analisi di Martina Chichi sulle morti nel Mediterraneo – compongono il secondo rapporto annuale dell’Associazione Carta di Roma (il titolo è “Notizie alla deriva”) che viene presentato oggi alla Camera dei Deputati, con l’intervento della presidente Laura Boldrini.
Rispetto al 2012, dunque, le notizie su migranti e immigrazione sono raddoppiate. Soprattutto per effetto della tragedia di Lampedusa e del ministero di Cécile Kyenge. E non è un caso che siano anche cresciuti in modo rilevante gli articoli dedicati al razzismo.
Che esista una correlazione tra la rilevanza degli eventi relativi a un tema e la quantità di servizi dedicati a quel tema è del tutto ovvio. Meno ovvio è che gli eventi di cronaca condizionino in modo così intenso, e quasi esclusivo, la scelta di occuparsene da parte degli organi di informazione. Come se l’immigrazione fosse, ancora e sempre, una “emergenza” e non una componente strutturale della società italiana. Come se gli immigrati fossero ancora “altri”, a dispetto della presenza di un milione di ragazze e ragazzi, ma molti di loro sono già uomini e donne, nati in Italia da genitori stranieri. E essi pure, ancora, stranieri: pare quasi che l’informazione voglia assecondare i ritardi del legislatore nella riforma della legge sulla cittadinanza.
La Carta di Roma è il codice deontologico al quale i giornalisti devono attenersi quando si occupano di immigrati, rifugiati e richiedenti asilo. È fatta di poche regole di buon senso che potrebbero essere facilmente dedotte dalla norma deontologica fondamentale, quella che impone ai giornalisti di restituire la verità sostanziale dei fatti. E, quindi, prima di tutto, usare le parole giuste. Ecco, questo – benché molti passi avanti siano stati fatti – continua a non accadere. Sempre più spesso assistiamo a casi di “violazione dolosa” del codice deontologico a fini di polemica politica. C’è chi usa la parola “clandestino” pur sapendo benissimo che non solo è inappropriata, ma anche offensiva. (Ed è sorprendente che essa comparisse ancora, alla stregua di un termine “tecnico”, addirittura nel sito del ministero dell’Interno fino allo scorso 17 dicembre, scomparendo meno di quarantotto ore dopo un’audizione sulla Carta di Roma in Senato che terminava con l’impegno da parte della Commissione Diritti umani di chiedere la rimozione della definizione scorretta dalla stessa pagina web).
Quello che presentiamo oggi è il rapporto del 2013. Ma, nel parlarne, non si può ignorare il fatto che nell’anno che si sta per concludere abbiamo assistito a aumento di casi di questa “violazione dolosa”. In particolare in coincidenza con i fatti di Tor Sapienza. Un fatto che richiama un altro problema, in questo caso un problema generale dell’informazione italiana: la sua dipendenza dall’agenda politica e dal suo linguaggio.
Per scaricare il secondo Rapporto annuale dell’Osservatorio Carta di Roma, “Notizie alla deriva”, clicca qui.
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