Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha realizzato un ebook su “Informazione e Giustizia” con l’obiettivo di stimolare un dibattito sulle crescenti difficoltà che i giornalisti incontrano ogni giorno per poter offrire ai cittadini un’informazione completa, precisa e autorevole.
“Si tratta di uno strumento rivolto innanzitutto ai giornalisti, per aiutarli ad orientarsi tra i più recenti interventi del legislatore sul tema. Ma anche un’occasione per stimolare una riflessione, non senza qualche preoccupazione, sulle limitazioni che, passo dopo passo, il legislatore sta introducendo, con il rischio di limitare il diritto di cronaca”. La pubblicazione curata dal gruppo di lavoro su “Informazione e Giustizia”, fa il punto sulle iniziative e sugli interventi per la difesa della libertà di informazione.
Diritto di oblio, sanzioni economiche per le diffamazioni a mezzo stampa, aumento di minacce e intimidazioni nei confronti dei giornalisti sono le questioni affrontate nel testo. Il rapporto Media Pluralism Monitor Report evidenzia, per l’Italia, la persistente questione della “diffamazione all’interno del sistema giuridico penale rimane irrisolta. Nonostante le precedenti condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo a causa delle disposizioni della legge sulla stampa (n. 47/1948, articolo 13) e del codice penale (articolo 595), che prevedevano la reclusione per diffamazione, la Corte costituzionale italiana ha affrontato la questione due volte […] ha emesso sentenze interpretative per limitare la reclusione per diffamazione a casi di eccezionale gravità, sollecitando il Parlamento a varare una riforma complessiva. Tuttavia, le leggi sulla diffamazione non sono ancora state modificate”
La pubblicazione è scaricabile dall’home page del sito www.odg.it. .
Tra le tematiche affrontate figurano le novità introdotte dal decreto sulla presunzione d’innocenza, che tante criticità stanno creando al lavoro dei cronisti, le problematiche legate alla normativa sul diritto all’oblio e le preoccupazioni connesse alla proposta di sanzioni economiche spropositate per i casi di diffamazione a mezzo stampa. E ancora la denuncia dell’aumento di minacce e intimidazioni a danno dei giornalisti, la richiesta di interventi concreti per contrastare il fenomeno delle cosiddette “querele bavaglio”, le iniziative per sostenere l’approvazione dell’European Media Freedom Act..
https://www.odg.it/wp-content/uploads/2024/07/INFORMAZIONE-E-GIUSTIZIA-11.07.2024.pdf
Flashback: Olimpiadi di Tokyo 2020 – svoltesi nel 2021 a causa della pandemia. Paola Egonu viene scelta come portabandiera olimpica; immediatamente in Italia si scatenano le polemiche criticando la scelta del CIO in quanto non rappresentativa dell’Italia ed una scelta guidata dal politicamente corretto. Alla vigilia delle Olimpiadi di Parigi 2024, una controversia simile si scatena per la cantante franco-maliana Aya Nakamura che si esibirà alla cerimonia delle olimpiadi. Pensando al Campionato Europeo di Calcio appena concluso, si potrebbe menzionare il tweet di Katrin Goring-Eckardt, vicepresidente del Bundestag in Germania, la quale commenta così la nazionale tedesca che aveva battuto l’Ungheria in una partita: “Questa squadra è veramente eccezionale. Pensate se ci fossero solo giocatori bianchi”.Non è una novità. Il razzismo ormai da tempo attraversa in varie forme il mondo dello sport. Tuttavia, c’è ancora troppo silenzio quando si parla di sport di base, quell’ambiente da cui tante sportive e tanti sportivi provengono e che spesso proprio a causa delle discriminazioni si ritrovano a dovervi rinunciare. A partire da storie come queste, parte oggi Stop Racism, not the Game!, una campagna nata nell’ambito del progetto Monitora.La campagna ha lo scopo di incoraggiare le persone a denunciare, monitorare e agire in maniera efficace contro il razzismo. Video testimonianze, post di divulgazione e tre video challenge caratterizzeranno la prima parte della campagna che accompagnerà il periodo delle Olimpiadi.La seconda parte della campagna si concentrerà maggiormente sul training Online prodotto nell’ambito del progetto Monitora. Dopo il lavoro di ricerca culminato nei Report Nazionali ed Europeo e lo svolgimento di training nazionali, per socializzare maggiormente le pratiche di contrasto del razzismo nello sport a settembre sarà online il training online gratuito Monitoring Racism in Grassroots Sport. La seconda parte della campagna Stop Racism, not the Game! fornirà quindi informazioni sul corso, sulle modalità di accesso e molto altro ancora.La campagna, lanciata oggi 16 Luglio, si svolgerà fino al 24 Settembre attraverso i social di Lunaria APS, associazione capofila del progetto Monitora, e degli altri partner europei LIIKKUKAA, Stop Racism in Sport, UISP Aps, United for Intercultural Action.
Un aspetto veramente appassionante degli ultimi anni di sport e di successi delle nostre atlete e dei nostri atleti è che rappresentano perfettamente l’Italia multicolore, l’Italia del meticciato, l’Italia multilingue e multirazziale che, contro tanti pregiudizi abbiamo comunque costruito.
Tu guardi il capolavoro tennistico di Jasmine Paolini e ti domandi quanti anni luce siano lontane le sparate salviniane del “prima gli italiani” e ancora di più l’insopportabile “seee, poveri cristi” di una presidente del consiglio che all’estero ogni volta ci fa vergognare anche se una certa stampa italiana continua con la solfa che lei è meglio di chi la circonda.
Jasmine Paolini, come Paola Egonu, come Myriam Sylla, come Mattia Furlani, come Marcel Jacobs e decine e decine di altri campioni, è figlia di padre toscano, nata nella splendida Garfagnana, e di madre polacca con nonna ghanese. Parla tre lingue senza averle dovute studiare. Ha un sorriso contagioso che se la guardi ti passa il cattivo umore. E’ piccola di statura in un mondo di atlete altissime, ha gli scatti felini di un gatto, un dritto fulminante e sa stare a rete. Una tennista completa che ora si gioca la finale al Roland Garros.
Ecco, lei è la nuova generazione italiana, lei rappresenta quello che accade ogi giorno nei nidi, nelle materne, nella altre scuole italiane dove i bambini sono di tutti i colore, parlano subito molte lingue, fanno squadra e se i genitori si stupiscono proprio non li capiscono. Solo in questo povero paese qualcuno ancora pensa di dividere classi di bambini, si lamenta del colore scuro della pelle di qualcuno e prende a pungi un ragazzo solo perché è nero.
Lo sport al giorno d’oggi ha mille difetti, troppo business, troppe magagne, ma continua a mandarci da anni un messaggio bellissimo: di qualsiasi colore sia la nostra pelle siamo italiani! Ed è proprio per questa ragione non è più rinviabile una discussione seria circa quel milione di minori, nati in Italia o arrivati qui, che parlano con l’accento dialettale, che sono i compagni di classe e di sport dei nostri figli, ma che non possono essere italiani fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età. Lo sport è spesso un acceleratore di coscienze e quei campioni con la maglia azzurra ci ricordano che dobbiamo pensare a tutti quei ragazzi e ragazze che magari hanno talenti diversi: nell’architettura, nell’arte, nell’ingegneria, nella medicina, nella poesia. E ancor di più dobbiamo pensare a coloro che un talento non ce l’hanno o non l’hanno ancora trovato ma da noi potrebbero trovarlo e svilupparlo.
Sorridiamo a questa speranza con Jasmine Paolini, vinceranno loro non il razzismo, la destra, i rigurgiti della X Mas.
Fonte: Articolo21 di Barbara Scaramucci
Questa è una sintesi di quanto detto da Vincent Cochetel, inviato speciale dell’UNHCR per la situazione del Mediterraneo occidentale e centrale – a cui il testo citato può essere attribuito – durante il briefing alla stampa tenutosi oggi al Palazzo delle Nazioni di Ginevra.
La mancanza di servizi di protezione sulle principali rotte utilizzate da rifugiati e migranti è allarmante e si è aggravata rispetto agli ultimi anni, secondo un rapporto di mappatura pubblicato oggi dall’UNHCR, l’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati.
Ogni anno, centinaia di migliaia di rifugiati e migranti rischiano la vita per spostarsi sulle rotte che si estendono dall’Africa orientale e dal Corno d’Africa e dall’Africa occidentale verso la costa atlantica del Nord Africa e attraverso il Mar Mediterraneo centrale verso l’Europa. Oltre agli africani, tra coloro che arrivano in Nord Africa ci sono anche molti rifugiati e migranti asiatici e mediorientali, provenienti da Paesi come Bangladesh, Pakistan, Egitto e Siria.
Gli orrori affrontati dai rifugiati e dai migranti lungo queste rotte sono inimmaginabili. Tragicamente, molti di loro muoiono durante l’attraversamento del deserto o in prossimità delle frontiere, e la maggior parte subisce gravi violazioni dei diritti umani durante il viaggio, tra cui violenze sessuali e di genere, rapimenti a scopo di riscatto, torture, abusi fisici, detenzioni arbitrarie, traffico di persone ed espulsioni collettive. Tuttavia, i servizi di protezione che possono aiutare a fornire alternative ai viaggi pericolosi o a mitigare le sofferenze dei rifugiati e dei migranti lungo le rotte che percorrono sono gravemente carenti.
I risultati di questa terza edizione del “Rapporto sulla mappatura dei servizi di protezione (un approccio basato sulle rotte per i servizi di protezione lungo le rotte dei movimenti misti)” dell’UNHCR evidenziano una significativa discrepanza nel livello dei servizi forniti nei diversi segmenti delle rotte che sono state mappate.
I servizi di protezione, come l’assistenza umanitaria immediata, l’alloggio, i meccanismi di rinvio ai servizi dedicati e l’accesso alla giustizia, spesso non sono disponibili negli snodi dei movimenti misti noti e nei punti di transito nelle aree difficili da raggiungere, anche nel deserto del Sahara. Purtroppo, i partner locali che hanno accesso a questi luoghi spesso non vengono presi in considerazione dai donatori o non vengono considerati prioritari per i finanziamenti; e i partenariati operativi con le autorità locali sono quasi inesistenti.
Il rapporto documenta anche l’impatto negativo di nuove crisi, come i conflitti in Sudan e nel Sahel, sulla disponibilità di risorse da dedicare alla fornitura di servizi di protezione. La mancanza di finanziamenti sostenuti minaccia ulteriormente i limitati servizi attualmente disponibili.
L’assenza di servizi essenziali espone i rifugiati e i migranti a un grande rischio di danni e di morte, oltre a innescare pericolosi spostamenti secondari. Alcuni rifugiati e migranti sottovalutano i rischi, mentre molti sono vittime delle informazioni manipolate da contrabbandieri e trafficanti.
Per questo motivo, l’UNHCR chiede ai donatori e alle parti interessate di sostenere gli interventi umanitari e di rinnovare la localizzazione degli sforzi, in cui tutti gli attori umanitari e dello sviluppo e i donatori collaborano per aumentare la disponibilità e le capacità dei servizi in luoghi mirati. Ciò include un migliore accesso ai percorsi legali di sicurezza e il miglioramento dei servizi di protezione per le vittime e per coloro che rischiano di diventarlo lungo le rotte.
È inoltre necessario potenziare i meccanismi di impegno e comunicazione della comunità a livello nazionale e tra le comunità della diaspora per diffondere informazioni sui pericoli dei viaggi, sfatare la falsa narrativa fornita da contrabbandieri e trafficanti e contribuire a trasmettere informazioni sulla disponibilità di percorsi alternativi sicuri e legali, come il ricongiungimento familiare e i servizi di protezione e assistenza.
Nota per gli editori:
Il rapporto “Mapping for Protection Services Report, a routes-based approach to protection services along mixed movement routes” fornisce informazioni personalizzate per rifugiati e migranti sui servizi attualmente disponibili sulle diverse rotte. Serve anche come riferimento per i donatori per indirizzare gli investimenti in risorse dove sono più necessarie e per gli attori più adatti a fornire questi servizi essenziali. La copertura geografica di questa edizione è stata ampliata a 15 Paesi (Algeria, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Costa d’Avorio, Gibuti, Egitto, Etiopia, Libia, Mali, Mauritania, Marocco, Niger, Somalia e Sudan).
Copyright: © UNHCR/Fabio Bucciarelli
Il periodo in cui Roberto Morrione ebbe l’intuizione geniale di fondare un canale televisivo all-news coincise col mio ritorno in pianta stabile, dopo alcuni anni trascorsi come consulente esterno, negli uffici di Amnesty International Italia, in qualità di portavoce dell’associazione.
L’idea di uno spazio televisivo che fornisse, con continuità nel corso della giornata, notizie fresche e aggiornamenti delle precedenti era di per sé innovativa. Ma la politica editoriale di quello spazio avrebbe potuto prendere direzioni diverse: ad esempio, essere una sorta di servizio pubblico della politica, dando poco spazio al resto.
In quel resto, c’erano le “mie” notizie. Quelle che vivevano nelle periferie del mondo, scarsamente e raramente illuminate dall’informazione. Nei luoghi dove la regola del potere era il silenzio.
Grazie a Roberto, quelle notizie e quei luoghi iniziarono ad apparire. Non in risicati spazi televisivi notturni, ma nelle edizioni dei telegiornali, negli approfondimenti, nelle inchieste, nelle dirette.
Rai News 24 fu, con Roberto, qualcosa di profondamente diverso da ciò che era già allora, e ancora di più è diventato oggi, un format televisivo. Oggi, giornalisti dialogano con altri giornalisti, si fanno domande e si danno risposte su temi dei quali spesso conoscono poco. Oggi, le sedie dei dibattiti televisivi sono occupate da persone che parlano, con supponenza, di genocidi e altri crimini dopo aver concionato sul superbonus e pronti ad affrontare il successivo argomento, ad esempio il premierato.
No, Rai News 24 non era così: i giornalisti andavano sul posto, facevano domande a testimoni, sopravvissuti, protagonisti e vittime. In studio, erano invitati esperti e non opinionisti. Era la tv dell’autorevolezza, non dell’approssimazione. Si parlava di ciò che si sapeva e si taceva di ciò che non si sapeva. E tra quelle persone esperte, ogni tanto c’ero anch’io: su un tema, su un problema specifico. I diritti umani stavano diventando, grazie a Roberto, una sezione del palinsesto, un blocco di notizie.
Sarebbe ingeneroso dire che, dopo Roberto, c’è stato il buio. Ci sono colleghe e colleghi in Rai che sono stati uccisi mentre facevano giornalismo come Roberto aveva insegnato a fare: d’inchiesta, con la schiena dritta, senza fare sconti.
Però è proprio quell’idea che non va più per la maggiore: i diritti umani come sezione di notizie. La politica è chiamata a interpretare e a commentare ogni cosa.
Oggi, negli studi televisivi, se c’è un’alluvione si chiama un esperto di clima; se c’è un terremoto s’invita uno studioso dei movimenti sismici. Ma se c’è un naufragio di persone migranti, si chiamano gli schieramenti opposti della politica. A Roberto non sarebbe interessato il loro parere. Avrebbe chiamato me e colleghe e colleghi delle organizzazioni per i diritti umani.
*di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International
E’ stato presentato a Roma il quinto rapporto “Africa MediaTa“, realizzato dall’Osservatorio di Pavia per Amref Italia. Il rapporto è basato su un’attività di monitoraggio dei media, tesa a definire quanto e come si parla di Africa sui media italiani.
Da un punto di vista quantitativo le notizie sull’Africa sono poche, da un punto di vista qualitativo si può notare che sono spesso incentrate sull’immigrazione, su fatti di cronaca e marginalità, alimentando una narrazione allarmistica e distorta degli africani e degli afrodiscendenti.
L’edizione 2024 è focalizzata in particolare sull’attivismo giovanile e femminile africano nei programmi televisivi e sui social network rispetto ad alcune questioni rilevanti come l’ambiente, la salute, l’arte e la cultura. Anche in questo caso è stato rilevata la scarsa presenza di attiviste e attivisti africani.
Leggi qui il Rapporto
Da oggi la Carta di Assisi declinata per i bambini porta la firma del Papa. Una copia è stata consegnata questa mattina a Francesco da una delegazione di giornalisti nell’ambito dell’udienza del mercoledì, in una piazza San Pietro stracolma di fedeli a poche ore dalla Giornata mondiale dei bambini . Il gruppo di giornalisti che ha portato la carta, predisposta da Padre Enzo Fortunato con Iside Castagnola e Roberto Natale, ha anche ringraziato Papa Francesco per l’attenzione verso gli operatori dell’informazione e la libertà di stampa.
La Carta riprende i principi già contenuti nella Carta di Assisi, rivisitata per i bambini. Una scelta volta a ribadire il valore etico di un linguaggio che tenga conto dei valori e delle persone, in questo caso rafforzata per i bambini cui il Papa ha voluto dedicare la due giorni del 25 e 26 maggio. Presente nella delegazione il Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli e la segretaria nazionale dell’Ordine, Paola Spadari, il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, Guido D’Ubaldo, il Presidente dell’Ucsi, Vincenzo Varagona, la portavoce di Articolo 21, Elisa Marincola, il coordinatore dei presidi di Articolo 21, Giuseppe Giulietti e di Antonella Napoli, Roberto Natale, Graziella Di Mambro del direttivo di Articolo 21 con Angelo Chiorazzo della cooperativa Auxilium che da anni condivide con la nostra associazione un percorso di rispetto etico prima che professionale delle persone e delle notizie. La firma di Papa Francesco sotto la Carta di Assisi per i bambini ribadisce in modo straordinario il senso di un’informazione guidata da valori essenziali e rispetto dei diritti umani.
Il testo della Carta di Assisi alla Giornata Mondiale dei Bambini 2024:
foto: Articolo21
Hongmu, kosso, keno, o legno venoso. Sono numerosi i termini per definire una delle specie di legname più preziose e minacciate del Sahel conosciuta come rosewood, una varietà di palissandro. Nel sud-ovest del Mali, dove si trova gran parte delle riserve della famiglia dei pterocarpus erinaceus, la popolazione locale sta subendo in silenzio gli effetti di una corsa predatoria a questo tipo di legno di inestimabile valore. Gli alberi possono raggiungere i 300 anni di età e quando vengono feriti a colpi di machete sprigionano un fluido rosso-sangue lungo i bordi interni della corteccia usato come olio essenziale.
IL LEGNO ROSA TRAFFICATO IN MALI
Trafficato in Mali come in molti altri Stati della regione, il rosewood è formalmente protetto dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites) che limita la quantità di piante da abbattere e esportare. Negli ultimi dieci anni, però, il traffico di questo particolare palissandro è aumentato notevolmente.
Il sistema viene gestito da una rete di funzionari governativi nella capitale maliana, Bamako. La destinazione principale è la Cina. « Il legno rosa è un tipo tradizionalmente e culturalmente molto apprezzato nel Paese asiatico – sottolinea Haibing Ma, esperto dell’organizzazione internazionale, Environmental investigation agency (EIA) –. Per questo motivo c’è una domanda quasi insaziabile».
IL RAPPORTO DELL’EIA
Secondo un recente rapporto della Eia, dal 2017 Pechino ha importato oltre mezzo milione di alberi di kosso maliano per un valore di circa 220 milioni di dollari. Un tempo il rosewood veniva abbattuto soprattutto nel sud-est asiatico. A causa del diboscamento eccessivo, nel 1998 le autorità furono costrette a imporre un “Programma nazionale cinese per la protezione delle foreste”. È così che alcuni cinesi legati al crimine organizzato hanno iniziato a prendere di mira l’Africa.
Grazie alla sua resistenza, compattezza e durezza, il legno rosa viene utilizzato per la fabbricazione di mobi-li, pavimenti, strumenti musicali e oggetti di vario genere, come i set per gli scacchi. Sebbene il Mali ne abbia vietato l’esportazione nel 2020, da allora sono state spedite in Cina oltre 150mila tonnellate di rosewood, pari a 220mila alberi. I trafficanti hanno infiltrato gli ultimi due governi maliani: quello del defunto presidente, Ibrahim Boubacar Keita (IBK), e quello attuale del colonnello golpista Assimi Goita.
I “facilitatori” occuperebbero paradossalmente ruoli anche all’interno di organismi come l’Onu e associazioni ambientaliste dedite a contrastarne il traffico. Inoltre, viene sfruttata l’opportunità di usare i tronchi per trafficare altre merci illegali come avorio, pelli di animali e droga. Il traffico di “tek africano” è stato persino denunciato dalla propaganda jihadista che si è proclamata come l’unica forza in grado di sconfiggerlo.
DOVE SI TROVA IL LEGNO ROSA
«Al momento le principali aree di approvvigionamento in Mali si trovano nel cosiddetto triangolo sudoccidentale delle tre ‘K’: Kayes, Kéniéba e Kita», spiega ad Avvenire una fonte che per motivi di sicurezza esige l’anonimato. «Un trafficante cinese si è installato alcuni anni fa a Bamako con la sua azienda e da allora – continua la fonte – sta facendo man bassa di rosewood utilizzando personale non-maliano». Raccogliere il kosso nelle più remote aree del Mali non è semplice. La foresta brulica di animali, corsi d’acqua e alberi di altro genere che vengono abbattuti per raggiungere il “tek africano”.
I residenti stanno cercando di fare resistenza, ma senza alcun concreto successo. Seghe, accette e altre armi bianche utilizzate per ammassare migliaia di tronchi al mese sono spesso utilizzate anche per minacciare le comunità. « Ho fatto l’errore di denunciare questo commercio illegale alle autorità maliane – ammette la fonte –. Da allora sono fuggito perché la mia vita e quella della mia famiglia sono, ancora oggi, in costante pericolo».
IL MONOPOLIO DELLE ESPORTAZIONI
Per anni il monopolio delle esportazioni verso la Cina è stato gestito dalla Générale Industrie du Bois S.a.r.l. (Gib) diretta da un uomo d’affari, Aboubacrine Sidick Cissé. Già nel 2016, la federazione maliana di imprenditori del legno aveva denunciato l’illegalità di tali operazioni. «Cissé, un semplice intermediario, continua a tagliare ed esportare legname maliano non trasformato a scapito dei veri imprenditori – aveva dichiarato Hambarké Yatassaye, membro della federazione –. Con milioni di franchi CFA, Cissé ha comprato il silenzio e i favori di molti responsabili del settore». Secondo lo studio dell’Eia, un trafficante cinese ha pagato in un anno 1,7 milioni di dollari di tangenti che la Gib ha poi distribuito a una ragnatela di contatti, precedenti e attuali.
Tra i più importanti collaboratori di Cissé c’era Karim Keita, ex deputato, figlio del defunto IBK e in esilio ad Abidjan. Nel 2021, è stato oggetto di un mandato d’arresto internazionale emesso dall’Interpol e dalle stesse autorità maliane. Nel dicembre del 2022, invece, l’Office of Foreign Assets Control (Ofac) del Dipartimento del tesoro statunitense lo ha incluso tra le quaranta personalità sanzionate per atti di corruzione. Dopo il colpo di Stato nell’agosto del 2020 che ha messo fine all’amministrazione del padre, si sono comunque formate altre quattro società. Secondo gli esperti, il commercio illegale di rosewood è caratterizzato da una «corruzione profondamente radicata » che include l’uso di «permessi non validi per l’esportazione ».
Decine di funzionari pubblici che hanno ricevuto tangenti per ignorare il diboscamento e il traffico di legname occupano (o hanno occupato) a Bamako ruoli decisivi nell’esercito, nei servizi segreti, nel ministero dell’Ambiente, del Risanamento e dello Sviluppo sostenibile, e presso la Direzione nazionale delle acque e delle foreste. Altre tangenti vengono invece distribuite agli ufficiali delle amministrazioni locali, soprattutto nelle regioni dove il traffico di rosewood è più intenso.
I tronchi vengono inizialmente segati e immagazzinati nella foresta prima di essere accatastati dentro centinaia di container. Una lunga fila di camion carica quindi la merce e la trasporta verso altri magazzini fuori e dentro Bamako. Successivamente, i trafficanti cinesi con trapani fanno buchi all’interno dei tronchi e infilano zanne d’avorio, pelli di animali e droga. Quando tutto è pronto, i convogli tornano verso la regione di Kayes, oltrepassano il confine con il Senegal nella cittadina di Kidira distribuendo altre tangenti ai doganieri di entrambi i Paesi e, dopo alcuni giorni di viaggio, arrivano al porto della capitale senegalese, Dakar. Se tutto va bene, il tragitto può durare meno di una settimana.
Di recente solo due convogli di rosewood sono stati fermati dalla gendarmeria senegalese grazie all’intervento di alcune associazioni ambientaliste locali e straniere. Ma in entrambi i casi è bastato un giro di telefonate tra le più alte sfere della politica senegalese (durante l’amministrazione di Macky Sall) e maliana per permettere ai convogli di continuare il loro percorso.
LE DENUNCE DEGLI AMBIENTALISTI
Gli ambientalisti denunciano da anni di non avere abbastanza risorse per contrastare i trafficanti e sono coscienti della possibilità che all’interno delle proprie organizzazioni ci siano “impiegati-spia” pagati dallo stesso traffico che dovrebbero combattere. Arrivati al porto, le compagnie di navigazione come la danese Maersk, la francese CMA-CGM, e la Mediterranean Shipping Company (MSC) con sede in Svizzera ammettono da anni di non poter controllare ogni container che passa attraverso i loro moli. E così la merce lascia le rive di Dakar per la Cina. Nel caso del Mali, l’Onu afferma che potrebbe contrastare il traffico di rosewood solo se fosse legato ai finanziamenti di gruppi armati jihadisti poiché non ci sono più relazioni con la giunta militare al potere.
LEGNO ROSA, FONTE DI DENARO LIQUIDO
Il legno rosa rappresenta solo una delle fonti di denaro liquido sfruttate dai funzionari del momento che, senza alcuno sforzo, aspettano di essere pagati per guardare dall’altra parte e non ostacolare i trafficanti. « Il rosewood maliano è un tema troppo rischioso da affrontare per i miei connazionali – conclude la fonte –. I giornalisti locali che denunciano questa realtà finiscono in prigione o sottoterra».
fonte Avvenire https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-legno-pi-pregiato-rubato-allafrica-un-traffico-fatto-da-infiltrati-e-c#google_vignette
foto: EIA
“Da dove vieni?, Perché non prendono l’aereo invece di arrivare sui barconi?”. Sono solo alcune delle domande che sentono farsi molte persone Afro discendenti nate e cresciute in Italia.
Di parole, sguardi e voci delle migrazioni si parlerà nell’incontro del 3 giugno a Oristano dalle ore 17 alle ore 19 nella Sala Matrimoni del Comune di Oristano, dal titolo “Basta una parola, voci e racconti per un giornalismo decolonizzato”.
Con i saluti istituzionali di Marco Sechi, Regione Autonoma della Sardegna; introduce Paola Gaidano, Osvic; intervengono Veronica Fernandes, giornalista RaiNews 24, Saverio Tommasi, giornalista e content creator Fanpage.it. Modera Paola Barretta, portavoce dell’Associazione Carta di Roma.
La decisione della Giunta del Governo regionale del Friuli Venezia Giulia di richiedere un approfondimento all’Ufficio scolastico regionale riguardo l’incontro programmato presso l’Istituto Italo Svevo di Trieste sul tema delle migrazioni, incontro che prevedeva la partecipazione di un rappresentante dell’ICS – Consorzio Italiano di Solidarietà e la testimonianza di una persona migrante desta sconcerto e preoccupazione. Tale intervento, infatti, come riportato nella nota della Giunta regionale, ha avuto quale conseguenza l’annullamento dell’incontro da parte della scuola stessa.
Tale incontro prevedeva l’ascolto diretto di testimonianze presentate da chi è coinvolto in prima persona nei percorsi migratori e contemplava la possibilità di fornire dati, esperienze e resoconti di esperti sulle migrazioni e di razzismo; occasioni che certamente rappresentano opportunità educative che favoriscono la crescita civile collettiva. Questi incontri, analoghi a quelli su temi di grande attualità come le questioni ambientali, offrono strumenti per comprendere le discriminazioni, le loro forme e l’impatto dei social media sulla costruzione del pensiero collettivo, soprattutto per i più giovani.
Anche le associazioni, parte attiva e strutturale della nostra società democratica, sono chiamate a partecipare anche alle attività scolastiche per informare e condividere i valori costituzionali che guidano la nostra comunità.
Pertanto crediamo che la politica non debba e non possa voler orientare le scelte educative e formative delle scuole così come la loro realizzazione e che tale atto sia lesivo della libertà di espressione e di insegnamento.
Educare i giovani alla libertà di pensiero li rende capaci di analizzare criticamente la realtà, prendere decisioni informate e innovare. Allo stesso tempo, sviluppare il senso civico promuove valori come il rispetto, la solidarietà e la partecipazione attiva nella comunità, elementi essenziali per una società democratica e inclusiva. Questi aspetti contribuiscono a creare una generazione di individui che non solo comprendono i propri diritti e doveri, ma sono anche pronti a impegnarsi per il bene comune.
Hanno aderito: Amnesty International, Amref Health Africa, Arci, Articolo21, Associazione Culturale Tina Modotti, Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiane, Cemea Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva, Centro Culturale Veritas, Associazione Diritti e Storti, Cir Onlus Consiglio Italiano per i Rifugiati, Centro Astalli, Centro Balducci, Cittadini del Mondo di Ferrara, Commissione Migrantes Provincia Comboniana, Cospe, Educare alle Differenze, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Lunaria, Rete DASI, Uisp Sport per tutti, UsigRai.
Per adesioni: info@cartadiroma.org
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