Amnesty International ha sollecitato gli Stati europei a fermare immediatamente i trasferimenti di rifugiati e richiedenti asilo del Caucaso del Nord verso la Russia, a causa del rischio di subire maltrattamenti e torture e di essere costretti ad andare a combattere nella guerra di aggressione contro l’Ucraina.
In una ricerca pubblicata oggi, dal titolo “Europa: il punto di non ritorno”, Amnesty ha denunciato che alcuni stati europei – tra i quali Croazia, Francia, Germania, Polonia e Romania – hanno estradato o stanno cercando di estradare richiedenti asilo fuggiti dalla persecuzione nel Caucaso del Nord e in cerca di salvezza in Europa.
“È scandaloso che, nonostante abbiano dichiarato di aver sospeso ogni forma di cooperazione giudiziaria con la Russia, a seguito della sua invasione dell’Ucraina, diversi stati europei stiano minacciando di rimandare persone nel Caucaso del Nord, esattamente nei luoghi dai quali erano fuggite a causa della persecuzione. Gli stati europei devono riconoscere che molte di queste persone, in caso di rimpatrio, rischierebbero arresti, rapimenti, maltrattamenti e torture, nonché l’arruolamento forzato”, ha dichiarato Nils Muiznieks, direttore di Amnesty International per l’Europa.
“La situazione, per coloro che sono fuggiti dal Caucaso del Nord, è notevolmente peggiorata a causa del deterioramento della situazione dei diritti umani in Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Vanno incontro a torture, sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie senza che nessuno sia chiamato a risponderne. Storicamente, negli stati europei, queste persone sono stigmatizzate e prese di mira con provvedimenti di espulsione e rimpatrio”, ha aggiunto Muiznieks.
Nel Caucaso del Nord, soprattutto in Cecenia, la situazione dei diritti umani è pessima. Chiunque esprima critiche, prenda parte ad attività in favore dei diritti umani e appartenga o venga percepito come appartenente alla comunità Lgbtqia+, rischia di essere colpito e lo stesso accade ad amici e parenti.
“Ti catturano in strada e hai due opzioni: vai in galera per 10 anni o cerchi di fuggire. Nelle prigioni cecene, è come se non esistessi più. Ma almeno puoi uscirne dopo 10 anni. Sempre meglio che essere arruolati, combattere e morire”, ha dichiarato ad Amnesty International un richiedente asilo della Cecenia.
Il ritiro della Russia dalla Convenzione europea dei diritti umani e la repressione in atto contro gli osservatori indipendenti sulla situazione dei diritti umani hanno enormemente aumentato il rischio di violazioni e hanno privato le vittime di importanti possibilità di chiedere giustizia.
I rischi sono aumentati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre contro il sud d’Israele e dopo i bombardamenti israeliani a Gaza e i sempre più violenti attacchi, con arresti e uccisioni, contro i palestinesi della Cisgiordania occupata.
Il presidente Macron ha inoltre autorizzato il suo ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, a negoziare con le autorità russe i possibili trasferimenti. Ne sono in programma almeno 11.
“Da anni i governi e le istituzioni europee ignorano o sminuiscono i gravi rischi cui va incontro chiunque venga rimpatriato nel Caucaso del Nord. Questi rischi sono ora ancora più acuti ed è incomprensibile usare il pretesto delle tensioni in Medio Oriente per giustificare il ritorno in Russia dei richiedenti asilo”, ha sottolineato Muiznieks.
“I governi europei devono fermare immediatamente tutti i trasferimenti in Russia di persone che rischiano di subire torture o altre violazioni dei diritti umani e riconoscere che tali rischi sono assai più alti per le persone del Caucaso del Nord. L’Europa deve valutare in modo corretto i loro bisogni di protezione, alla luce della pessima situazione dei diritti umani in Russia e della guerra in corso contro l’Ucraina”, ha concluso Muiznieks.
Paola Barretta
Sono circa 6000 i professionisti della sanità italiani, di cui 4000 medici e 2000 professionisti della sanità, che nell’arco del 2023 si sono rivolti all’Amsi e UMEM e Uniti per Unire.
I medici e infermieri italiani preferiscono andare a lavorare all’estero. È quanto emerge dagli ultimi dati forniti dall’Associazione medici di origine straniera in Italia (AMSI), dall’Unione Medica Euro Mediterranea (UMEM).
Gli ingenti investimenti sulla sanità da parte di alcuni paesi arabi hanno contribuito ad aumentare un fenomeno che negli ultimi mesi è diventato sempre più diffuso.
“In Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar investono circa il 10% del Pil in sanità ed hanno strutture sanitarie all’avanguardia con tanta innovazione e macchinari ultime generazioni – spiega Foad Aodi, presidente dell’Associazione medici di origine straniera in Italia, dell’Unione medica euro mediterranea, membro registro esperti della Fnomceo e prof. a contratto all’Università Tor Vergata.
Di non poca rilevanza poi, i turni massacranti, le aggressioni. Medici e infermieri lamentano inoltre la mancata depenalizzazione dell’atto medico e la difficile valorizzazione della carriera. Sono troppo pochi gli investimenti nella ricerca e per modernizzare le strutture sanitarie. C’è molta poca innovazione e confronti scientifici veri.
Infine, la questione economica: In Emirati Arabi, Qatar e Arabia Saudita e negli Emirati Arabi un medico viene pagato in media 15mila euro mensili, un infermiere 3mila, con compensi che possono anche raddoppiare in base all’esperienza”.
Più dell’85% delle richieste provengono dalle strutture sanitarie pubbliche.
I dati regione per regione
Secondo le statistiche formulate da Amsi e Umem, la regione con più richieste di trasferimento all’estero è la Lombardia, con 630 casi nel 2023 (di cui 430 medici e 125 infermieri e professionisti della sanità). Seguono il Veneto con 600 e il Piemonte con 550. Non va meglio però per le altre regioni: nel Lazio se ne contano 515, in Campania 475, in Calabria e Emilia-Romagna 450, in Puglia e Sicilia 300, in Toscana 275, in Liguria 250, nelle Marche 225, in Sardegna 200, in Umbria 175, in Trentino-Alto Adige 150, in Abruzzo 105, in Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta 100, in Basilicata e Molise 75.
I medici di origine straniera in Italia
Mentre tanti professionisti italiani scappano all’estero, negli ultimi cinque anni si è registrato un aumento di medici di origine straniera in Italia. “Questo grazie ad una stretta collaborazione con il Governo Conte II, che, con il decreto ‘Cura Italia’ ha disposto una deroga alle norme di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie, per consentire l’esercizio sul territorio nazionale a chi ha conseguito una professione sanitaria all’estero – spiega Aodi –. Ne sono arrivati parecchi da Argentina, Venezuela, Cuba, Cile, Perù, Marocco, Tunisia, Giordania, Palestina e Algeria”. Alcuni di essi hanno deciso di rimanere in Italia. Siamo passati negli ultimi 4 anni da 77.500 professionisti della sanità di origine straniera in Italia a 100 mila professionisti della sanità stranieri, di cui il 40% lavora nel pubblico. Numeri raddoppiati rispetto a 3 anni fa. La maggioranza dei professionisti della sanità stranieri sono a Roma e nel Lazio con 8 mila unità.
“Ma questo non basta – fa notare Aodi –. Il continuo esodo dei medici Italiani ci preoccupa. Per questo abbiamo lanciato l’appello ‘Aiutarli a casa loro in Italia’, al quale stanno aderendo più di 130 tra associazioni e sindacati di professionisti della sanità, organizzazioni e associazioni di strutture sanitarie e cliniche private e poliambulatori”.
L’intervento di apertura di Carlo Bartoli alla conferenza stampa annuale, appuntamento con la Presidente del Consiglio organizzato dall’Ordine dei giornalisti e dalla Associazione Stampa Parlamentare
“In questa sala ci sono alcuni banchi vuoti: per la prima volta nella storia decennale di questo tradizionale appuntamento la Federazione nazionale della stampa ha inteso disertare per protesta la conferenza stampa. Una protesta che nella sostanza condivido. Ci allarma, infatti, l’approvazione avvenuta nei giorni scorsi di un emendamento che rischia di far calare il sipario sull’informazione in materia giudiziaria. Ci preoccupano, a questo proposito, certe espressioni ingiuste e calunniose di alcuni parlamentari.
L’Italia da anni è sotto osservazione delle istituzioni europee per l’elevata mole di azioni giudiziarie intimidatorie contro i giornalisti. Per questo chiediamo di ripensare a fondo la riforma della diffamazione in discussione al Senato; una proposta che non disincentiva in maniera seria le liti temerarie e comprime invece, a nostro avviso in maniera ingiustificata, il diritto dei cittadini a un’informazione libera e approfondita. Speriamo che il Parlamento non ripeta l’errore commesso nella scorsa legislatura, quando ha approvato le norme sulla cosiddetta presunzione di innocenza: un principio sacrosanto che la legge non ha saputo difendere, ma la cui applicazione ha prodotto l’oscuramento di tantissime notizie di cronaca.
Per fortuna, recentemente la Corte di Cassazione in una chiarissima sentenza ha difeso e valorizzato il giornalismo di inchiesta. Siamo anche soddisfatti delle recenti modifiche apportate dall’Europa al Media Freedom Act a tutela dei giornalisti che non possono e non devono essere intercettati mentre svolgono il loro lavoro come purtroppo è accaduto in Italia e come è stato rivelato pubblicamente nei giorni scorsi.
Guardiamo all’Europa, alla Corte europea dei diritti dell’Uomo, alla Corte Costituzionale, alla Cassazione, ma dobbiamo prendere atto di essere descritti, da alcuni esponenti del ceto politico, come speculatori che lucrano sulle disavventure giudiziarie.
Quest’anno abbiamo ricordato i 60 anni dell’Ordine. Non una autocelebrazione, ma un momento di riflessione sulla storia del giornalismo italiano, sul suo presente e sul suo futuro. Una riflessione che ci porta a chiedere ancora una volta che il Parlamento approvi una riforma della professione che attendiamo da diversi decenni. Nell’epoca dell’Intelligenza artificiale siamo ancora inchiodati a norme pensate e approvate il secolo scorso. Abbiamo presentato la nostra proposta, unanime, speriamo di avere l’ascolto delle istituzioni.
Questo governo si è mosso in maniera efficace nel sostegno all’editoria, in particolare nel comparto delle agenzie di stampa; un’azione importante, ma occorre fare ancora di più. È indispensabile un grande progetto di rilancio dell’industria dell’informazione. E agli editori diciamo che la strada del progresso e quella della precarietà si muovono in direzioni opposte; c’è troppo lavoro povero. Troppi compensi assomigliano più a un’elemosina che a una retribuzione. Esprimo solidarietà alle colleghe e ai colleghi dell’Agenzia DIRE per la difficile situazione in cui si trovano tra licenziamenti e sospensioni.
Con l’avvento dell’Intelligenza artificiale, l’Italia deve scegliere se accettare di essere tagliata fuori dal grande mercato internazionale della cultura e dell’informazione o cercare di riguadagnare un ruolo in quell’ambito nel quale si produrrà e distribuirà una fetta rilevante della ricchezza planetaria. Per farlo, occorre un’alleanza di tutti i soggetti in campo: Governo, Parlamento, autorità regolatorie, editori, nuove professionalità, giornalisti. Noi ci siamo, ma occorre fare prestissimo.
Del resto, anche editori e giornalisti sono chiamati in causa in una vicenda che, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, mette in gioco il futuro della democrazia. Dobbiamo adottare una seria autoregolamentazione, a partire dalla trasparenza in materia di Intelligenza artificiale. I nostri lettori e ascoltatori devono sapere se e in quale proporzione i nostri contenuti sono costruiti con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale. Trasparenza e tracciabilità dei contenuti, oltre a responsabilità e deontologia, devono rappresentare i caratteri che ci distinguono rispetto quanto viene immesso in rete sotto forma di sedicente informazione.
Gentile presidente, in questi decenni, i giornalisti non hanno esitato a rischiare la vita, e talvolta a perderla, per raccontare i delitti della mafia, i soprusi e le violenze, i crimini di guerra, gli stermini. Testimoni scomodi e poco amati, spesso divenuti bersaglio nei momenti di forte tensione sociale e negli scenari di guerra. Anche se qualcuno oggi cerca di dimenticarlo o sottovalutarlo.
Questa è la nostra storia, storia di cui siamo orgogliosi; queste sono le nostre radici innervate nei valori della Costituzione ed ispirate ai principi internazionali che ci richiamano, come cittadini e come giornalisti, ad operare in difesa della libertà e del rispetto dei diritti umani, contro ogni discriminazione”.
Per la prima volta, la Segretaria e il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana hanno deciso di non partecipare alla conferenza stampa, in segno di protesta per l’emendamento Costa – approvato dal Senato con parere favorevole del governo – che restringe il diritto di cronaca.
La presidente Giorgia Meloni ha affermato che la norma Costa farebbe tornare la disciplina dell’articolo 114 del Codice di procedura penale a prima della riforma Orlando. Così dicendo, però, al di là dei giochi di parole, la premier non ha potuto non riconoscere che il disegno di legge presentato dal deputato di Azione e votato dalla Camera rappresenta una involuzione rispetto alla riforma del 2017 che ha espressamente consentito la pubblicazione delle ordinanze cautelari, che sono atti necessariamente conosciuti dalle parti.
Per la Fnsi, «la norma bavaglio, su cui sarà chiamato a pronunciarsi il Senato, rappresenta un passo indietro non solo per il diritto di cronaca, ma anche nella tutela dell’indagato. Si obbligano infatti i giornalisti a riportare solo sintesi e notizie de relato, senza potersi affidare alla precisione degli atti giudiziari. La strumentale distorsione del garantismo penale non può certo costituire l’alibi per una inaccettabile involuzione democratica».
La Fnsi chiede al governo e al Parlamento di non procedere all’approvazione definitiva.È una norma in contrasto con sentenze Cedu, e imbavaglia il diritto dei cittadini a sapere.
Da quali paesi proviene la maggior parte delle persone rifugiate presenti in Italia? Nei primi 9 mesi del 2023, qual è la percentuale di minori tra coloro che sono costretti a fuggire dalle proprie case? Negli ultimi dieci anni il numero di persone costrette a fuggire da guerre e persecuzioni è aumentato? 10 domande per scoprire quanto conosci l’argomento.
A cura di redazione
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Welcome to your Quiz: quanto ne sai di persone migranti e rifugiate?
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Plastic toy men, barbed wire and eu flag, migrants crossing the border concept
Mercoledì gli Stati membri e il Parlamento europeo hanno raggiunto un importante accordo per riformare la politica migratoria del blocco, coronando uno sforzo ambizioso durato tre anni che a volte sembrava destinato a fallire.
L’ambito accordo, che è preliminare e deve ancora essere sottoposto a ratifica formale, è stato siglato dopo una maratona di colloqui e negoziati che si sono concentrati su una vasta e complessa gamma di questioni aperte che hanno richiesto compromessi da entrambe le parti, come i periodi di detenzione, la profilazione razziale, i minori non accompagnati, le operazioni di ricerca e salvataggio e la sorveglianza delle frontiere.
Il Consiglio, guidato dalla presidenza spagnola, ha difeso una posizione rigida volta a dare agli Stati membri il più ampio margine di manovra per gestire la migrazione, anche estendendo la proposta di procedura di asilo accelerata al maggior numero possibile di richiedenti, mentre il Parlamento ha insistito su disposizioni più rigorose rispettare i diritti fondamentali. Nel comunicato dell’Associazione per gli Studi Giuridici dell’Immigrazione (ASGI) si legge una critica e una opposizione netta a quella che viene definito “un indebolimento del diritto di asilo” contenuto nell’accordo politico raggiunto nella notte tra le istituzioni europee perché vengono introdotti: “la finzione giuridica di non ingresso, in base alla quale le zone di frontiera sono considerate come non parte del territorio degli Stati membri”; il trattenimento in zone di frontiera per chi entra via terra o via mare; la valutazione della domanda di asilo per persone provenienti da paesi con un basso tasso di riconoscimento di protezione”.
Qui di seguito il testo integrale in inglese.
Member states and the European Parliament struck on Wednesday a major deal to reform the bloc’s migration policy, capping off a three-year-long ambitious effort that at times seemed doomed to fail.
The sought-after agreement, which is preliminary and still needs to undergo formal ratification, was sealed after marathon talks that began on Monday afternoon, continued throughout Tuesday and concluded on Wednesday morning, an intensity that reflects the high stakes on the table.
Negotiations focused on a vast and complex array of open questions that required compromises on both sides, such as detention periods, racial profiling, unaccompanied minors, search-and-rescue operations and border surveillance.
The Council, led by the Spanish presidency, defended a rigid position to give member states the widest margin of manoeuvre to handle migration, including by extending a proposed fast-tracked asylum procedure to as many claimants as possible, while the Parliament insisted on stricter provisions to respect fundamental rights. The European Commission also took part, providing assistance and guidance.
With the winter break looming ever closer, the co-legislators were under increasing pressure to patch up their differences, which in some cases were profound, and achieve the eagerly anticipated breakthrough. Thanks to Wednesday’s leap, the bloc will be able to push forward five interlinked pieces of legislation that redefine the rules to collectively receive, manage and relocate the irregular arrival of migrants.
The laws, known as the New Pact on Migration and Asylum, were first unveiled in September 2020 in an attempt to turn the page on decades of ad-hoc crisis management, which saw governments take unilateral and uncoordinated measures to cope with a steep rise in asylum seekers.
These go-it-alone policies severely undermined the EU’s collective decision-making and left Brussels looking like an inconsequential bystander in what is arguably the most politically explosive issue on the agenda.
At its core, the New Pact is meant to establish predictable, clear-cut norms that bind all member states, regardless of their geographic location and economic weight. The ultimate goal is to find a balance between the responsibility of frontline nations, like Italy, Greece and Spain, which receive the bulk of asylum seekers, and the principle of solidarity that other countries should uphold.
“Migration is a European challenge that requires European solutions,” said European Commission President Ursula von der Leyen, who had made the reform a top priority for her five-year term. The New Pact “means that Europeans will decide who comes to the EU and who can stay, not the smugglers. It means protecting those in need.”
Roberta Metsola, the president of the European Parliament, hailed the moment as a “truly historic day” and spoke of “probably the most important legislative deal of this mandate” that had been “10 years in the making.”
“It was not easy,” Metsola said on Wednesday morning. “We have defied the odds and proven that Europe can deliver on the issue that matters to citizens.”
Metsola admitted the New Pact was not a “perfect package” and some “complex issues” remained unaddressed. “But what we do have on the table” is far better for all of us than what we have had previously,” she added.
Wednesday’s preliminary deal will now be translated into amended legal texts, which will have to be first approved by the Parliament and, later, by the Council.
Both roads could prove perilous. In the hemicycle, the Greens and the Left have already expressed disapproval about the agreement, suggesting they will not endorse it. And in the Council, last-minute demands from governments cannot be ruled out, given the extreme sensitivity of the issue. Nevertheless, the approval in the Council will be done by a qualified majority vote, meaning individual countries will not be able to veto.
The New Pact on Migration and Asylum is a legislative project with an all-encompassing approach that intends to piece together all the aspects of migration management, from the very moment migrants reach the bloc’s territory until the resolution of their requests for international protection.
Crucially, it does not alter the so-called “Dublin principle,” which says the responsibility for an asylum application lies first and foremost with the first country of arrival.
Overall, it is meant to cover the “internal dimension” of migration while the “external dimension” is addressed through tailor-made deals with neighbouring countries, like Turkey, Tunisia and Egypt.
The five laws contained in the New Pact are:
The negotiations between the Council and the Parliament had been playing out for months, first in separate talks on each legislative file and, most recently, in the so-called “jumbo” format, where the five draft laws were considered all at once under the mantra “nothing is agreed until everything is agreed.”
The discussions became an intense, time-consuming back-and-forth, with each side trying to hold their ground against the other’s demands. Juan Fernando López Aguilar, a third-term Spanish MEP who acts as rapporteur for the Crisis Regulation, described the process as a “real tug of war” with round-the-clock negotiations.
“We have not slept a wink in the last couple of days,” López Aguilar said.
Member states were bent on preserving the hard-fought compromise they had struck among themselves after years of fruitless and bitter debates to reform the bloc’s migration policy. The compromise was particularly delicate on the system of “mandatory solidarity” envisioned under the AMMR: countries had agreed on an annual quota of 30,000 relocations and a €20,000 contribution for each asylum seeker they reject.
But lawmakers resented the Council’s unyielding position and urged flexibility to meet halfway. Some of the last remaining differences were the scope of the 12-week border procedure, the detention of irregular applicants, a mechanism to monitor fundamental rights and the concept of third safe countries.
Poland and the Baltic states pushed for special rules to cope with the instrumentalisation of migrants, a phenomenon which themselves suffered first-hand in 2021 when Belarus orchestrated an influx of asylum seekers in retaliation for international sanctions.
Meanwhile, as talks gathered pace, humanitarian organisations stepped up their public campaign to warn the New Pact risks normalising large-scale detention and sending migrants back to countries where they face violence and persecution. The concerns were echoed on Wednesday morning, as details of the agreement emerged.
“The Pact does not solve the EU’s asylum issues; it actually limits access to asylum and rights for those seeking protection,” Caritas Europe said in a statement, warning that “widespread detention and poor reception standards” and “rushed asylum procedures with restricted safeguards and appeals” are likely to happen.
In an equally scathing reaction, Amnesty International predicted a “surge in suffering on every step” of an asylum seeker’s journey and denounced the 12-week border procedure as “substandard.” The pact’s Crisis Regulation has the potential of “breaching international law” and setting a “dangerous precedent for the right to asylum globally,” the organisation said.
Reacting to the criticism, Ylva Johansson, the European Commissioner for Home Affairs, who participated in the marathon talks, said the deal included a “cap” on the number of asylum seekers who can go through the fast-tracked procedure to avoid “any overcrowding.” If the limit is reached, migrants will be redirected to the traditional asylum procedure, which allows free movement across national territory. Legal counselling will be provided free of charge for the “whole process,” Johansson said.
“Migration is something normal. Migration has always been there and will be there. Our task (is) to manage migration in an orderly way – together,” the Commissioner said.
Implementing the New Pact, which will take months after the final texts are approved, will be inevitably hamstrung by the question of deportations. For years, the EU has struggled to convince countries of origin to take back the asylum seekers whose claims are unsuccessful, leaving many trapped in a legal limbo. Brussels is now trying a mix of tools to correct the situation, such as appointing a Return Coordinator to coordinate national policies and threatening visa restrictions on nations who refuse to cooperate.
“Of course, more needs to be done, but we are actually making progress in this area,” Johansson said.
Wednesday’s deal comes mere days after Frontex, the bloc’s border and coast guard agency, said irregular border crossings had surpassed 355,000 incidents in the first 11 months of the year, the highest number for that period since 2016.
The continued rise in border-crossing incidents injected momentum into the negotiations and pulled the New Pact out of the political limbo it had been stuck in since 2020.
Si è chiuso ieri a Ginevra il Forum Globale sui Rifugiati. L’UNHCR evidenzia l’entità dell’onere e della responsabilità a favore delle persone in fuga nel mondo ed i progressi in materia di inclusione, per i quali è necessaria però un’azione più ampia.
In occasione del Forum Globale sui Rifugiati che si è chiuso ieri a Ginevra, l’UNHCR, Agenzia ONU per i rifugiati, evidenzia i dati del Rapporto sugli indicatori del Patto Globale sui Rifugiati 2023 che mostrano i progressi sostenuti su quattro obiettivi chiave: alleggerire la pressione sui Paesi ospitanti, migliorare l’autosufficienza dei rifugiati, ampliare l’accesso alle soluzioni dei Paesi terzi e sostenere le condizioni nei Paesi d’origine. Il documento valuta i progressi compiuti rispetto agli impegni assunti dal 2019 e offre indicazioni per colmare le lacune in materia di istruzione, occupazione e inclusione.
Alla fine di giugno erano 110 milioni le persone costrette alla fuga a livello mondiale, 1,6 milioni in più rispetto alla fine del 2022[1]. L’UNHCR stima che, nel trimestre da giugno a settembre, il numero di persone costrette a fuggire è cresciuto di 4 milioni, portando il totale a 114 milioni. Oltre la metà delle persone in fuga nel mondo non varca mai frontiere internazionali. A metà del 2023, erano 36,4 milioni i rifugiati. L’87% proviene da soli 10 Paesi: Siria (6.5 milioni), Afghanistan (6.1M), Ucraina (5.9M), Venezuela (5.6M), Sud Sudan (2.2M), Myanmar (1.3M), Sudan (1M), Repubblica Democratica del Congo (948.400), Somalia (814.600), Repubblica Centrafricana (750.900). Poco più della metà dei rifugiati nel mondo sono oggi afghani, siriani o ucraini. Il numero dei rifugiati nel mondo è più che raddoppiato dal 2016. In soli due anni, la proporzione sulla popolazione mondiale è cresciuta da 1 rifugiato ogni 400 persone a 1 ogni 200.
La condivisione delle responsabilità rimane altamente iniqua: il 55% dei rifugiati è ospitato in soli 10 Paesi: Iran (3.4 milioni), Turchia (3.4M), Germania (2.5M), Colombia (2.5M), Pakistan (2.1M), Uganda (1.5M), Federazione Russa (1.2M), Polonia (989.900), Perù (987.200), Bangladesh (961.800). La maggior parte (il 69%) delle persone in fuga da conflitti e persecuzioni rimane nei pressi del proprio Paese d’origine. I numeri confermano altresì che, sia in base a misure economiche che in rapporto alla popolazione, sono sempre i paesi a medio e basso reddito ad ospitare la maggior parte delle persone in fuga (75%). I 46 paesi meno sviluppati rappresentano meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale, eppure ospitano più del 20% di tutti i rifugiati.
I bisogni delle persone costrette alla fuga continuano a superare le soluzioni, anche per quanto riguarda i ritorni volontari e i finanziamenti disponibili. Dal 2016 al 2022 per ogni rifugiato che ha trovato una soluzione duratura alla propria situazione – ad esempio attraverso il reinsediamento, il ritorno volontario nel paese d’origine o l’integrazione nel paese dove ha trovato protezione – altre cinque persone in media sono state costrette a fuggire “Oggi i bisogni dei rifugiati nel mondo superano ampiamente le risorse finanziarie a disposizione. Le conseguenze di questo gap sono gravi e riguardano non solo le persone in fuga ma anche le comunità e i paesi che li ospitano”. Ha dichiarato Chiara Cardoletti, Rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino.
“Questa carenza di fondi ci costringe a fare scelte impossibili sulle diverse crisi da affrontare. Oggi molte più persone sono costrette alla fuga a causa di conflitti e di violenze in Sudan, Sahel, Sud America e Asia, e sono spinte ad affrontare viaggi pericolosi in cerca di salvezza attraverso il Mediterraneo, dove quest’anno si è raggiunto un nuovo record di sbarchi, o la regione di Darien a Panama, dove nel 2023, 250 mila tra uomini, donne e bambini hanno attraversato la giungla.
Nel Golfo del Bengala, nel 2022, abbiamo registrato un incremento del 260% di Rohingya che rischiano la vita in fuga in mare per fuggire dal Myanmar e Bangladesh principalmente. E il nuovo conflitto in Sudan ha generato poco meno di 2 milioni di rifugiati”.
“Il Forum Globale sui Rifugiati è un’occasione per trovare soluzioni concrete al fine di gestire in maniera efficace e umana questo flusso di persone in fuga. Per affrontare questa sfida non esistono ricette magiche, ma serve uno sforzo comune che coinvolga tutti gli attori in campo e che porti un alleggerimento della pressione sui Paesi ospitanti; un aumento delle opportunità di autosufficienza dei Rifugiati; più possibilità di reinsediamento in Paesi terzi, per chi non può tornare a casa; e un più forte impegno per permettere un ritorno sicuro e dignitoso nei Paesi di origine”. Ha concluso Chiara Cardoletti.
Ma non mancano alcuni segnali positivi, seppur timidi. Nel primo semestre del 2023, sono poco più di 404.000 i rifugiati che hanno fatto ritorno nel paese d’origine, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022. Quasi 2,7 milioni di sfollati interni hanno fatto ritorno alle proprie case nello stesso periodo, più del doppio di quanto registrato nella prima metà del 2022. Il numero di rifugiati reinsediati è aumentato, sebbene i casi di reinsediamento nella prima metà del 2023 abbiano rappresentato solo il 3% dei 2 milioni di persone che, secondo le stime dell’UNHCR, hanno bisogno di essere reinsediate a livello globale.
Negli ultimi quattro anni il mondo ha comunque compiuto progressi tangibili nel fornire risposte condivise e allineate per gettare le basi per migliorare la vita dei rifugiati, ma questi progressi devono accelerare per far fronte al continuo aumento degli sfollamenti forzati a livello globale.
Il Rapporto sugli indicatori del Patto Globale sui Rifugiati 2023 ha rilevato che L’inclusione dei rifugiati nelle economie dei paesi che li ospitano dipende in larga misura dalla loro capacità di muoversi liberamente. Le informazioni disponibili per 109 Paesi, che includono 29 milioni di rifugiati, indicano che 6 rifugiati su 10 godono di libertà di movimento legale. Inoltre, 7 rifugiati su 10 avevano accesso legale al lavoro, ma solo la metà aveva accesso nella pratica a un impiego formale.
Il contesto politico per l’accesso dei rifugiati all’istruzione è stato giudicato generalmente positivo: la maggior parte dei paesi dispone di leggi per garantire ai bambini rifugiati l’accesso all’istruzione formale (il 73% dei Paesi garantisce esplicitamente ai bambini rifugiati l’accesso all’istruzione primaria, il 67% dei Paesi a quella secondaria).
Inoltre, dal 2016 sono aumentati il numero e la gamma di partner coinvolti nelle risposte ai rifugiati, tra cui un maggior numero di ONG locali, organizzazioni religiose, organizzazioni guidate da rifugiati e da donne.
Il Forum Globale sui Rifugiati, che ha visto la partecipazione di oltre 4.200 persone da 168 Paesi, si è chiuso con l’impegno da parte dei governi e del settore privato di stanziare 2,2 miliardi di dollari. Gli Stati si sono inoltre impegnati per il reinsediamento di 1 milione di rifugiati entro il 2030.
“I partecipanti hanno dimostrato leadership, visione e creatività nella ricerca di soluzioni a un fenomeno molto complesso”, ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi. “Soprattutto, hanno preso un impegno a continuare a lavorare insieme per migliorare la vita di milioni di persone in fuga da guerre e violenze nel mondo”.
Il rapporto e il Forum Globale sui Rifugiati:
Il rapporto sugli indicatori, il secondo del suo genere da quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha lanciato il patto Globale sui rifugiati nel 2018, contribuisce a focalizzare e guidare la discussione al Forum Globale sui Rifugiati che si chiude oggi a tiene a Ginevra.
L’incontro ha offerto ai governi, al settore privato, ai gruppi religiosi, alle fondazioni caritatevoli, alle istituzioni finanziarie, alle organizzazioni di rifugiati, agli attori umanitari e dello sviluppo e a una vasta gamma di altri partecipanti l’opportunità di impegnarsi in azioni concrete a sostegno dei rifugiati e dei principi del patto Globale sui Rifugiati.
Il rapporto mostra che dal Forum Globale sui Rifugiati RF sono state annunciate 1.700 promesse di impegno, coinvolgendo 133 Stati e oltre 550 attori non statali. Un terzo degli impegni per i quali sono stati riportati i progressi sono stati rispettati.
foto: ©UNHCR/Agnese Morganti
Integrare l’azione climatica con un approccio olistico per affrontare la perdita di biodiversità, l’inquinamento ed altre sfide ambientali; integrare la cura per l’ambiente e la cura per le persone, rifiutando una visione antropocentrica che sostiene abitudini di consumo distruttivo; integrare le istanze dei più vulnerabili all’interno dei quadri istituzionali e di leadership, garantendo che le voci di chi è colpito in prima linea dal cambiamento climatico siano al centro del dibattito globale: sono questi i punti fondamentali che l’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG), l’organizzazione che riunisce 1.903 membri in rappresentanza di oltre 600.000 suore nel mondo, porta a COP28, la Conferenza delle parti delle Nazioni Unite dedicata al clima, in corso a Dubai fino al 12 dicembre.
Le suore sono impegnate in ogni parte del mondo ad affrontare le sfide ambientali con l’azione e l’advocacy, in prima linea in un movimento che vuole modellare le conversazioni globali sulle tematiche di sviluppo attorno ai bisogni delle comunità locali. Nel novembre 2022, con il sostegno del Global Solidarity Fund, la UISG ha lanciato Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini, una dichiarazione che esprime la visione delle suore per una conversione ecologica radicata nella fede. Questa dichiarazione ha delineato le priorità che hanno guidato l’advocacy della UISG nel 2023, tra cui il Sister-led dialogue on the environment, diverse tavole rotonde con cui la UISG ha istaurato dialoghi con gli ambasciatori presso la Santa Sede, e le collaborazioni con nuovi partner, per culminare nella prima rappresentanza della UISG in un vertice COP.
“La presenza della UISG a COP28 nasce dalla volontà di esplorare come possiamo farci tramite di uno scambio virtuoso di prospettive, idee e opportunità tra comunità locali e forum decisionali – spiega Suor Maamalifar Poreku, coordinatrice della campagna UISG Seminando speranza per il pianeta. – Come ci ricorda Papa Francesco nella Laudato Sì,’ ‘non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale’. È per questo che, come UISG, crediamo che per affrontare la crisi climatica sia necessario un approccio centrato sull’essere umano: vogliamo vedere le persone più colpite dai cambiamenti climatici influenzare direttamente le decisioni riguardanti l’allocazione delle risorse e, in particolare, dei finanziamenti. Facendo leva del profondo coinvolgimento delle suore con le comunità vulnerabili, la UISG vuole contribuire a portare le voci più marginalizzate nei forum decisionali. Allo stesso tempo, crediamo che la capillarità della nostra rete possa contribuire anche a garantire che le politiche globali siano attuate a livello locale, favorendo trasparenza e responsabilità”.
Per il prossimo 2024, la UISG focalizzerà il suo operato su tre importanti sfide: mitigare il rischio di replicare paradigmi neocoloniali nelle soluzioni di “energia pulita” e promuovere la trasparenza nelle iniziative cosiddette “green”; limitare l’espansione di nuovi progetti minerari per proteggere l’ambiente e ridurre l’impatto delle attuali industrie estrattive sui mezzi di sussistenza e sulla salute delle persone vulnerabili; promuovere finanziamenti giusti e trasparenti per un’economia rigenerativa e sostenere le comunità e le istituzioni cattoliche in un approccio agli investimenti basato sulla fede.
“Per affrontare alla radice le cause profonde di questa crisi epocale, dobbiamo incoraggiare i nostri leader a cercare soluzioni radicali per sfide radicali. Come UISG, ci impegniamo a camminare fianco a fianco con le comunità che vivono ai margini globali, per muoverci insieme verso un futuro sicuro, giusto e pacifico per tutte le persone e per il nostro sacro pianeta” conclude Suor Maamalifar.
L’Asgi ha scritto in un documento diffuso nei giorni scorsi che sarebbe incostituzionale non sottoporre al Parlamento il Protocollo italo-albanese: i contenuti rientrano tra i casi in cui l’art. 80 Cost. prescrive che sia preventivamente approvata dal Parlamento una legge di autorizzazione alla loro ratifica.
Il 21 novembre 2023, contrariamente con quanto inizialmente dichiarato alla stampa, il Governo ha annunciato che intende sottoporre in tempi rapidi alle Camere un disegno di legge di ratifica che contenga anche le norme e gli stanziamenti necessari all’attuazione del protocollo.
In contemporanea alle comunicazioni in Aula da parte del ministro degli Esteri, con il Tavolo Asilo e Immigrazione, in una conferenza stampa, abbiamo presentato le ragioni per le quali il Parlamento debba votare contro il disegno di legge di ratifica.
L’Asgi ha analizzato il testo del Protocollo Italia-Albania, evidenziandone illegittimità costituzionali e violazioni delle normative vigenti e concludendo :”Le numerose ambiguità e illegittimità che caratterizzano il Protocollo fanno concludere che non possa essere ratificato in Parlamento. Qualora lo fosse molte delle relative norme italiane potranno essere dichiarate in tutto o in parte costituzionalmente illegittime“.
Appello della società civile europea e le organizzazioni nazionali
Il Regolamento Screening è una delle principali proposte di riforma introdotte con il Patto Europeo e i negoziati per l’adozione del regolamento sono attualmente in corso. Uno degli articoli del nuovo regolamento (l’articolo 5) consentirà agli Stati di svolgere accertamenti nei confronti di persone sospettate di essere prive di documenti in qualsiasi occasione all’interno del territorio.
Il rischio è creare un ambiente ostile in cui le minoranze – siano esse cittadini dell’UE o individui con uno status di residenza regolare o irregolare – si troverebbero ad affrontare un rischio maggiore di essere oggetto di controlli discriminatori e potenzialmente detenuti senza adeguate garanzie.
Come già segnalato al Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali (CERD), gli episodi di discriminazione basati sulla profilazione etnica non costituiscono incidenti isolati, ma delineano un quadro di razzismo sistemico che viola il principio di non-discriminazione sancito dall’art.3 della Costituzione e vari obblighi internazionali.
ASGI e le principali reti della società civile europea e le organizzazioni nazionali:
Corte di Cassazione: “Chi entra in Italia ha diritto all’informativa completa ed effettiva sull’asilo dal primo contatto con la polizia”
Non bastano le informazioni contenute nel cd. foglio notizie sbarco né la clausola di stile abitualmente inserita nei decreti di respingimento.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, con la sentenza n. 32070 del 20 novembre 2023. La Corte ha stabilito principi di estrema importanza in tema di diritto all’informativa in materia di protezione internazionale, collocandone l’adempimento sin dal primo contatto con le forze di polizia di frontiera e ponendo, conseguentemente, tale diritto all’interno del più ampio quadro normativo relativo anche al diritto all’accoglienza dei richiedenti asilo.
La pronuncia, con estrema chiarezza e linearità, corona un ragionamento sviluppato da tempo anche dalla nostra associazione.
È stato firmato oggi dal Comune di Milano e da UNHCR, Agenzia ONU per i rifugiati, nell’ambito della City to city visit presso WeMi inclusione a Milano, un protocollo di intesa volto a promuovere e favorire l’integrazione delle persone rifugiate sul territorio. Con la firma di Chiara Cardoletti, Rappresentante di UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, alla presenza dell’assessore al Welfare e Salute Lamberto Bertolé, si rende ufficialmente attivo il documento siglato precedentemente dal Sindaco di Milano Giuseppe Sala.
“Siamo estremamente soddisfatti della risposta del Comune di Milano all’appello di UNHCR per la costruzione una rete di città che si impegnano a fare la differenza nell’integrazione sociale, culturale ed economica delle persone rifugiate nella società italiana. – Dichiara Chiara Cardoletti, Rappresentante di UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino – Crediamo fermamente che la città di Milano possa sostenere politiche e programmi che abbiano un impatto concreto sulla vita delle persone rifugiate e sulle comunità che le accolgono, valorizzando il contributo delle prime, come risultato di un processo dinamico fondato sulla partecipazione.”
Il Comune di Milano si allinea quindi ai Comuni di Bari e Napoli che hanno già siglato simili Protocolli di intesa con l’UNHCR che prevedono azioni coordinate volte a favorire l’integrazione delle persone rifugiate, promuovendo un accesso più semplice ed efficiente ai servizi disponibili sul territorio.
“Siamo convinti – dichiara l’assessore al Welfare e Salute del Comune di Milano Lamberto Bertolé – che, per affrontare al meglio i processi migratori e coniugare le esigenze dei territori con i bisogni dei rifugiati, gli enti locali debbano essere protagonisti di processi d’integrazione costruiti in maniera non più emergenziale, ma strutturale. Per questo abbiamo costruito un luogo fisico dove chi arriva in città possa trovare in un unico punto ascolto, orientamento e una risposta il più completa possibile. Avere l’occasione di condividere i risultati del nostro lavoro con le altre città è per noi uno strumento prezioso di miglioramento e crescita che UNHCR ci mette a disposizione”.
Il protocollo contempla il potenziamento e lo sviluppo dei servizi attivi a WeMi inclusione per l’accoglienza, l’integrazione e la promozione della partecipazione nel Comune di Milano, puntando sulla cooperazione tra sistema d’accoglienza, servizi territoriali e attori istituzionali e privati coinvolti nei processi d’integrazione.
Tre gli approcci d’intervento privilegiati: il coinvolgimento di tutta la società (whole-of-society), la costruzione di reti di fiducia attraverso il programma di Community Matching, e lo sviluppo del modello di Spazio Comune, programma sviluppato dall’UNHCR nel 2022 che prevede centri multiservizi e polifunzionali dove sono concentrati i servizi fondamentali per l’integrazione delle persone rifugiate, spazi aperti e facilmente accessibili dove i rifugiati possono trovare risposte ai propri bisogni di integrazione nelle comunità che li accolgono.
Milano, insieme a Bari, Napoli, Palermo Roma e Torino ha sottoscritto la Carta per l’Integrazione delle persone rifugiate, documento che mira a potenziare la collaborazione fra le città sull’integrazione delle persone titolari di protezione internazionale, favorendo lo scambio di pratiche, esperienze, strumenti e sviluppando i servizi già disponibili sui territori.
L’Agenzia ONU per i rifugiati è al fianco dei Comuni italiani, il cui ruolo centrale nei processi di integrazione vuole essere riaffermato e supportato tramite eventi come City to City e la costante e quotidiana collaborazione con l’UNHCR.
di Eleonora Camilli su Redattore Sociale
Nel maggio del 2021 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione per chiedere una legislazione Ue sulla migrazione legale che “attirerebbe i lavoratori, indebolirebbe i trafficanti di esseri umani, faciliterebbe l’integrazione e incoraggerebbe una migrazione più ordinata”. Nel testo è lo stesso Parlamento a sottolineare che dal 2015 le forme di migrazione legale figurano a malapena nello sviluppo della politica europea. In particolare il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo non include alcuna proposta specifica in merito. Ma si concentra molto sul controllo esterno della frontiera, su come cioè fermare i flussi verso l’Europa nei paesi di origine e transito. Mentre quando parla di sponsorship lo fa solo in relazione ai rimpatri.
Eppure secondo il Parlamento attivare vie legali e sicure sarebbe un’opportunità soprattutto per gli stati membri. Innanzitutto tenendo presente l’invecchiamento della popolazione e la contrazione della forza lavoro: “Le politiche dell’Ue e nazionali in materia di migrazione legale dovrebbero concentrarsi sul fornire una risposta alle carenze dei mercati del lavoro e delle competenze”, spiega il Parlamento Europeo in una nota, dove chiede che la legislazione in vigore sia rivista e che il campo di applicazione sia più ampio. Nel testo viene anche sottolineato il ruolo importante delle rimesse e i benefici che una migrazione sicura, regolare e ordinata comporta sia per i paesi d’origine che per quelli di accoglienza.
Ma ad oggi la possibilità di arrivare in Europa da alcuni paesi in maniera regolare (con un visto d’ingresso e un passaporto) è pressoché impossibile. Non solo per chi vuole migrare per migliorare la propria situazione economica, ma anche per i tanti migranti forzati, in fuga da guerre, persecuzione, violenze e violazioni dei diritti umani. Secondo i dati della Fondazione Migrantes nel 2022, anno segnato da nuovi e vecchi conflitti, dalla pandemia di Covid-19 e dal cambiamento climatico, il numero di persone in fuga ha superato la soglia dei 100 milioni in tutto il mondo. Ma oltre il 70% di chi lascia il proprio Paese cerca rifugio in uno Stato confinante e solo una piccola parte arriva in Europa. “Il 2022 è stato l’anno in cui la guerra d’Ucraina ha prodotto nel cuore d’Europa, nel giro di poche settimane, rifugiati e sfollati a milioni, come non si vedevano dai tempi della Seconda guerra mondiale. L’anno in cui l’Europa ha saputo accogliere, di nuovo, milioni di profughi senza perdere un decimale in benessere e “sicurezza”(oltre 4.400.000 le persone registrate per la protezione temporanea solo nell’UE fino all’inizio di ottobre). Ma anche l’anno in cui la stessa Ue e i suoi Paesi membri hanno fatto di tutto per tenere fuori dai propri confini, direttamente o per procura, decine di migliaia di migranti e rifugiati altrettanto bisognosi di protezione”.
Anche i dati degli arrivi tramite i resettlemnt e corridoi umanitari restano bassi. Secondo il report la stima globale dei rifugiati con necessità di reinsediamento (resettlement) da precari Paesi di primo asilo nel 2021 era pari a 1.445.000 persone, ma nell’anno ne sono stati effettivamente reinsediati in tutto il mondo 57.500, il 4% scarso. Sono 32.289, invece, i rifugiati effettivamente partiti per un reinsediamento nel periodo gennaio-agosto 2022. Nel 2023 la stima del fabbisogno supera i due milioni di persone (+ 36% rispetto al 2022) ma il numero dei posti messi a disposizione dai paesi, in base a un sistema di quote è di 29 mila persone.
Il paese che ha messo a disposizione più quote è la Germania con 6.500 posti per i resettlment e 12mila per le ammissioni umanitarie. La Germania ad oggi è anche il paese che accoglie più rifugiati in Europa. Sui reinsediamenti per il prossimo anno seguono la Francia con 3000 posti, la Spagna con 1200, la Svezia con 900, l’Irlanda con 800, l’Olanda con 737, l’Italia con 500 (e 850 ammissioni umanitarie). Non hanno messo a disposizioni posti, invece, i cosiddetti paesi del cosiddetto gruppo di Visegrad.
Per quanto riguarda il progetto dei corridoi umanitari a fare meglio è l’Italia, che per prima ha lanciato il progetto nel 2015. Secondo un report della Comunità di Sant’Egidio su oltre 5.800 persone arrivate in sicurezza in questi anni, la stragrande maggioranza ha trovato accoglienza nel nostro paese. Negli ultimi anni hanno aderito al progetto la Francia che ha accolto 532 persone, di cui 530 dal Libano e 2 dalla Grecia; il Belgio che ha accolto 150 persone dal Libano e dalla Turchia e Andorra che ha accolto 16 persone dal Libano.
A fine novembre 2022 la Commissaria per gli affari interni, Ylva Johansson, ha ospitato un Forum ad alto livello per promuovere una più stretta cooperazione con i paesi e le organizzazioni partner al fine di ampliare le vie sicure e legali per le persone bisognose di protezione. “Gli Stati membri sono stati incoraggiati a sviluppare tali percorsi complementari. La Commissione fornirà nuovi finanziamenti per i progetti transnazionali legati a questa priorità – ha detto la Commissaria -. La Commissione continuerà a lavorare per sfruttare l’esperienza dei paesi partner internazionali e di altre parti interessate”. All’inizio del 2023 la Commissione pubblicherà un invito a presentare proposte per azioni transnazionali dell’Unione nell’ambito del Fondo Asilo, migrazione e integrazione per sostenere la condivisione delle migliori pratiche e la creazione di partenariati per l’integrazione. Ciò includerà il finanziamento di progetti incentrati sulla sponsorizzazione della comunità e percorsi complementari legati al lavoro. Tutti passi rilevanti che segnalano un primo cambio di attenzione. Ma il cammino per giungere ad una “via sicura” verso l’Europa è ancora tutto in salita.
UNA VIA SICURA è un reportage in dieci puntate realizzato e pubblicato da Redattore Sociale in collaborazione con Acri. Il lavoro giornalistico, curato da Eleonora Camilli con il supporto grafico di Diego Marsicano e la supervisione di Stefano Caredda, affronta da più punti di vista il tema delle migrazioni, raccontando alcune delle esperienze supportate da Acri nel suo Progetto Migranti.
Foto in evidenza di Agenzia DIRE
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