Magdi Allam accusa la Carta di Roma di mistificare la realtà. La risposta di Giovanni Maria Bellu
Dispiace che Magdi Allam non solo dimostri di ignorare la Carta di Roma, ma persista in questo atteggiamento sprezzante nei confronti di quanti lavorano perché in Italia si affermi quell’atteggiamento di rispetto verso gli stranieri del quale, tra l’altro, è stato uno dei beneficiari quando, prima di diventare un pessimo predicatore, era un ottimo giornalista.
Magdi Allam, in un editoriale apparso ieri, 2 agosto, su Il Giornale sotto il titolo «Se il bruto viene da lontano, la stampa “dimentica” di dirlo» – s‘indigna perché in due titoli sullo stupro compiuto da un 24enne afghano ai danni di una giovane donna italiana, non si faceva menzione della nazionalità dell’autore del crimine. E attribuisce questa “mistificazione della realtà” alle norme della Carta di Roma che, scrive, dà l’indicazione di “non segnalare la nazionalità della vittima”. Quindi fa notare che Carta di Roma (“Questa pesantissima cappa di «politicamente corretto» nella trattazione della realtà degli immigrati”) vieta pure di usare il termine “clandestino”.
Diamo per letta, per esigenze di sintesi, la parte finale dell’articolo nella quale Magdi Allam sciorina una dopo l’altro alcuni dati statistici sull’immigrazione affiancandoli alle note argomentazioni salviniane – gli immigrati delinquono, portano via i soldi agli italiani ecc. Qua siamo nel campo di Allam predicatore.
Al giornalista Magdi Allam vogliamo invece dire che non è vero che la Carta di Roma vieta di indicare la nazionalità. Dice invece che la sua indicazione (così come quella della religione) non dovrebbe essere utilizzata per qualificare il protagonista di un fatto di cronaca se non è “rilevante o pertinente per la comprensione della notizia”. È di un’ovvietà assoluta. Il trasferimento, nel campo del linguaggio sull’immigrazione, di una norma tecnica generale: non inserire, nel racconto di un fatto di cronaca, elementi superflui o fuorvianti.
Si tratta di una norma, cioè di una enunciazione che per sua natura ha carattere generale. Va applicata tecnicamente. Infatti nei corsi di formazione dei giornalisti – ai quali suggeriamo a Magdi Allam di partecipare con assiduità – la si specifica nella discussione, esattamente come dovrebbe avvenire nelle redazioni. E si distingue, per esempio, l’indicazione della nazionalità nel titolo da quella nel pezzo. L’obiettivo è ottenere un prodotto giornalistico che restituisca al lettore la realtà nel modo più preciso.
Naturalmente, quando si formula una norma si tiene conto dei principi condivisi, delle acquisizioni scientifiche e, in definitiva, di tutto ciò che dovrebbe essere già noto al buon padre di famiglia. Si tiene conto, cioè, di un sistema di valori e di conoscenze che si dà per scontato. Rientra in questo ambito l’idea che non esistono etnie dall’indole criminale.
È un’antica battaglia del giornalismo italiano. Un dibattito molto simile, si sviluppò ben prima dell’arrivo degli immigrati stranieri. Qualcuno forse ricorderà la polemica attorno alla sistematica indicazione di Flavio Carboni come “il faccendiere sardo” mentre quando si parlava di un altro protagonista delle stesse vicende non si scriveva mai “Roberto Calvi, il bancarottiere lombardo”. E molti di più ricorderanno quel “meridionale” reiterato fino agli anni Settanta da tanti giornali del Nord nelle notizie su fatti di criminalità avvenuti in Lombardia, Veneto o Piemonte.
Negli incontri formativi, diamo ai colleghi un suggerimento pratico. Per verificare se l’indicazione della nazionalità ha senso o meno (se è o non è un elemento costitutivo della notizia) la sostituiscano con l’indicazione di una cittadinanza in Italia: romano, napoletano, bergamasco. Si può fare l’esperimento a partire da un titolo che spesso è comparso sulla stampa italiana: “Rumeno ubriaco investe un passante”. Sostituiamo “bergamasco” e vediamo l’effetto che fa. Che te ne pare Magdi? “Bergamasco ubriaco investe un passante” non ti fa ridere?
Diverso è trovare, nel corpo dell’articolo, la frase, “Tal Dei Tali, originario di Bergamo…”. Così non fa ridere. È una informazione come tante. Al lettore interessa sapere chi è il protagonista del fatto, dove è nato, quanti anni ha. Quindi non è “vietato” scrivere la nazionalità. È sconsigliato dare a essa un’enfasi impropria e fuorviante. Perché un lettore giovane, poco avvertito, potrebbe ritenere, a forza di leggere “bergamasco”, che i bergamaschi tendono a investire i passanti. E noi tutti sappiamo che è un’assurdità. È un’assurdità condannata dalla scienza e dalla storia. Sia che si trattati di bergamaschi, sia che si tratti di afghani. È una “notizia falsa”. Molto semplice.
Così come l’utilizzo del termine “clandestino” con riferimento a quanti sono sbarcati. Usarlo è come definire “ladri” i clienti di un self-service che ancora non hanno raggiunto al cassa. Le statistiche, come Magdi Allam dovrebbe sapere, ci dicono che la maggior parte di quanti sbarcano viene riconosciuta come bisognosa di qualche forma di protezione. Ce lo dice anche la cronaca: è possibile chiamare a priori “clandestino” un medico siriano che fugge dai bombardamenti con la moglie e i figli? E, in generale, perché offendere il prossimo? È buon giornalismo quello che insulta? Credo che Magdi Allam risponderebbe di no. Allora perché fa certe affermazioni?
Azzardo una spiegazione. Magdi Allam vorrebbe che la stampa assecondasse le sue strane idee. È successo che il predicatore Magdi Allam, a corto di argomenti, o forse non sufficientemente spregiudicato da affermare l’esistenza di una ‘indole criminale’ in alcune etnie, ha arruolato il giornalista ed è riuscito a imporgli di violare la regola base della professione: restituire al lettore la verità sostanziale dei fatti. Ci dispiace molto.
Giovanni Maria Bellu – presidente Associazione Carta di Roma